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Giornata_della_memoria

Domenica 27 Gennaio



... e scrivo quello che non

saprei mai dire a nessuno

                         Primo Levi



Quando ogni anno viene celebrata la “Giornata della Memoria” non posso fare a meno di pensare a quel giorno quando, durante un viaggio in Polonia, ho varcato la soglia di Auschwitz-Birkenau.

Mi ha accolto quella scritta sgangherata (forse una pretesa di renderla più accattivante?) sopra al cancello: “Il lavoro rende liberi” un insulto, l’estrema beffa a quella folla di disperati che venivano spinti a forza verso il nulla.

Gli edifici del lager sono oggi trasformati in un museo a perenne ricordo e monito: un grido di disperazione che varca i confini del tempo. Auschwitz è li, a testimoniare la verità. Quel forno crematorio che s’innalza con il suo camino di morte, le celle carcerarie, il muro schizzato dal sangue dei fucilati… Se non bastassero gli elenchi e le fotografie, i cumuli di valigie, di capelli e di altri oggetti che testimoniano un orrore incredibile.

birkenau
E più ancora il binario, visto e rivisto nelle fotografie e nei film, la torretta… ci sono salita su quella torretta. In un silenzio irreale e commosso io e i miei compagni di viaggio abbiamo spaziato con lo sguardo sulle baracche. Ci siamo entrati, in quelle baracche. Le abbiamo immaginate nel gelo dell’inverno: un ridicolo riparo in legno con fessure larghe mezzo palmo, nude assi per sdraiarsi sfiniti. Giorni e notti lunghissime, interminabili, senza speranza.

Non voglio dilungarmi nelle descrizioni: è difficile raccontare quello che si prova nel pensare a come sia stato possibile che degli esseri umani abbiano potuto infliggere ai propri simili queste sofferenze inconcepibili.

Invito a leggere Primo Levi: “Se questo è un uomo”, “I sommersi e i salvati” o a rivedere il film “Schindler’s list” o il meraviglioso “La vita è bella” di Benigni.

Lasciarsi trasportare dalla commozione nel ricordo di questi avvenimenti è una forza da opporre a quel manipolo di fanatici che pensano di cancellare la STORIA in nome di una assoluta follia.

Così come non si potrà mai cancellare la STORIA di chi si oppose con grande coraggio alle atrocità.

A tutti il nostro ricordo nella preghiera.
                                                                                                                           Gabriella

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Da “I sommersi e i salvati” di Primo Levi

L’esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti è estranea alle nuove generazioni dell’Occidente, e sempre più estranea si va facendo a mano a mano che passano gli anni. Per i giovani degli anni ’50 e ’60, erano cose dei loro padri: se ne parlava in famiglia, i ricordi conservavano ancora la freschezza delle cose viste. Per i giovani di questi anni ’80, sono cose dei loro nonni: lontane, sfumate, "storiche". Essi sono assillati dai problemi d’oggi, diversi, urgenti: la minaccia nucleare, la disoccupazione, l’esaurimento delle risorse, l’esplosione demografica, le tecnologie che si rinnovano freneticamente ed a cui occorre adattarsi.
La configurazione del mondo è profondamente mutata, l’Europa non è più il centro del pianeta. Gli imperi coloniali hanno ceduto alla pressione dei popoli d’Asia e d’Africa assetati d’indipendenza, e si sono dissolti, non senza tragedie e lotte fra le nuove nazioni. La Germania, spaccata in due per un futuro indefinito, è diventata "rispettabile", e di fatto detiene i destini dell’Europa. Permane la diarchia Stati Uniti-Unione Sovietica, nata dalla seconda guerra mondiale; ma le ideologie su cui si reggono i governi dei due soli vincitori dell’ultimo conflitto hanno perso molto della loro credibilità e del loro splendore. Si affaccia all’età adulta una generazione scettica, priva non di ideali ma di certezze, anzi, diffidente delle grandi verità rivelate; disposta invece ad accettare le verità piccole, mutevoli di mese in mese sull’onda convulsa delle mode culturali, pilotate o selvagge.
Per noi, parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno. E’ avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
Può accadere, e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; come ho accennato più sopra, è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, "utile" o "inutile", è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato, in entrambi quelli che si sogliono chiamare il primo ed il secondo mondo, vale a dire nelle democrazie parlamentari e nei paesi dell’area comunista. Nel terzo mondo è endemica od epidemica. Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono "belle parole" non sostenute da buone ragioni.
E’ stato oscenamente detto che di un conflitto c’è bisogno: che il genere umano non ne può fare a meno. E’ anche stato detto che i conflitti locali, le violenze in strada, in fabbrica, negli stadi, sono un equivalente della guerra generalizzata, e che ce ne preservano, come il "piccolo male", l’equivalente epilettico, preserva dal grande male. E’ stato osservato che mai in Europa erano trascorsi quarant’anni senza guerre: una pace europea così lunga sarebbe un’anomalia storica.
Sono argomenti capziosi e sospetti. Satana non è necessario: di guerre e violenze non c’è bisogno, in nessun caso. Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a un tavolo, purché ci sia volontà buona e fiducia reciproca: o anche paura reciproca, come sembra dimostrare l’attuale interminabile situazione di stallo, in cui le massime potenze si fronteggiano con viso cordiale o truce, ma non hanno ritegno a scatenare (o a lasciare che si scatenino) guerre sanguinose fra i loro "protetti", inviando armi sofisticate, spie, mercenari e consiglieri militari invece che arbitri di pace.
Ci viene chiesto dai giovani, tanto più spesso e tanto più insistentemente quanto più quel tempo si allontana, chi erano, di che stoffa erano fatti, i nostri "aguzzini". Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS, e a mio parere è improprio: fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male. Erano, in massima parte, gregari e funzionari rozzi e diligenti: alcuni fanaticamente convinti del verbo nazista, molti indifferenti, o paurosi di punizioni, o desiderosi di fare carriera, o troppo obbedienti. Tutti avevano subito la terrificante diseducazione fornita ed imposta dalla scuola quale era stata voluta da Hitler e dai suoi collaboratori, e completata poi dal Drill delle SS. A questa milizia parecchi avevano aderito per il prestigio che conferiva, per la sua onnipotenza, o anche solo per sfuggire a difficoltà famigliari. Alcuni, pochissimi per verità, ebbero ripensamenti, chiesero il trasferimento al fronte, diedero cauti aiuti ai prigionieri, o scelsero il suicidio. Sia ben chiaro che responsabili, in grado maggiore o minore, erano tutti, ma dev’essere altrettanto chiaro che dietro la loro responsabilità sta quella della grande maggioranza dei tedeschi, che hanno accettato all’inizio, per pigrizia mentale, per calcolo miope, per stupidità, per orgoglio nazionale, le "belle parole" del caporale Hitler, lo hanno seguito finché la fortuna e la mancanza di scrupoli lo hanno favorito, sono stati travolti dalla sua rovina, funestati da lutti, miseria e rimorsi, e riabilitati pochi anni dopo per uno spregiudicato gioco politico.



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