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La Pace è la casa comune

 

La Pace è la casa comune,

la porta d'entrata è una sola



La pace si fa in due, ma hanno premiato solo lui. Abiy Ahmed, prima il cognome e poi il nome come da tradizione etiope. In un Paese osannato per i suoi atleti fondisti, il Nobel più ambito è andato a un “premier sprinter” che nel giro di due mesi ha sgretolato un muro da record che resisteva da due decenni.
Classe 1976, ex militare (arruolato a 13 anni), laureato in studi sulla pace, tre figlie, è premier dal 2018 succeduto all’autoritario Desalegn.
Il 9 luglio 2018 ha firmato, dopo 20 anni di guerra, l’accordo di pace con l’Eritrea. Ha tolto i partiti d’opposizione dalla lista dei “terroristi” e sospeso la censura. Ha sventato un golpe militare.
Il Nobel ad Abiy Ahmed Ali si deve “ai suoi sforzi per la pace e la cooperazione internazionale e in particolare per la sua iniziativa nel risolvere il conflitto con l’Eritrea, alla mediazione fra Kenya e Sudan, decisiva, e alle sue riforme.
Riportiamo alcuni brani dal discorso di insediamento del premier al Parlamento etiope nel 2018.
Come ha detto uno dei padri della nostra nazione, mentre siamo in vita siamo esseri umani; quando moriamo torniamo alla terra e dunque diventiamo parte della nazione. Ecco, voi troverete i preziosi resti di tanti uomini e tante donne sparsi in ogni angolo di questa terra. Mentre siamo vivi siamo etiopi. Quando moriamo, diventiamo Etiopia, la nostra casa comune.
...E’ nella battaglia delle idee che si forgiano le soluzioni di problemi. La forza è nella cooperazione. Insieme diventiamo più forti. Non c’è problema che non si possa risolvere restando uniti...
...L’unità non esclude il pluralismo ma deve abbracciare le nostre diversità. Noi etiopi abbiamo bisogno della democrazia, e ce la meritiamo. La democrazia non vale solo per altri Paesi.
...Ma la democrazia non è concepibile senza libertà. E la libertà non è un regalo concesso da un governo al popolo. E’ un dono che vale per tutti in virtù della nostra dignità di esseri umani.
Con  il governo dell'Eritrea, dal profondo del cuore vogliamo porre fine al disaccordo che ha regnato per anni. Non eluderemo le nostre responsabilità. Esprimendo la volontà di superare le differenze attraverso il dialogo, lanciamo un appello al governo eritreo affinché faccia lo stesso. Non lo dobbiamo soltanto ai nostri interessi comuni, ma alle relazioni di sangue e di amicizia che legano i nostri popoli".
C'è da sperare che il presidente dell'Eritrea Isaias Afwerki non se la prenda per il Nobel assegnato solo al premier etiope, convinto com'è di essere vittima di una congiura internazionale che denuncia da sempre, proponendosi come un uomo di stato dedito al benessere del suo popolo, ma incompreso da tutti.
Avrete potuto leggere anche sul nostro sito le notizie giunte dall'Eritrea.
Vedremo se spronato dall'esempio dell'Etiopia riuscirà a recuperare un briciolo di umanità nei confronti del suo popolo.

                                          (liberamente tratto dal Corriere della Sera del 12 ottobre 2019)

 

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