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Scarpette rosse

 


Scarpette rosse

 

 


"C’è un paio di scarpette"


C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”.

C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald.

Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi di ciocche nere e castane a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati. Non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni, forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni, ma il suo pianto lo possiamo immaginare, si sa come piangono i bambini.

Anche i suoi piedini li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald, quasi nuove, perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole…

~ Joyce Lussu ~


Un erore sconosciuto

 


Un eroe sconosciuto

 

 

I giornali dell’India hanno riportato la notizia che un ragazzo delle elementari, per due anni, ogni mattina, andava ad attingere acqua al pozzo, dieci chilometri distante dal villaggio, per una donna isolata dalla società.
Hai mai tu sperimentato la gioia del bene fatto senza aspettarti un contraccambio?
Troppi si chiudono, si isolano, diventano apatici e indifferenti verso gli altri.
Apriamo il nostro cuore, il nostro guscio per essere perla, facciamoci socievoli.
Coltiviamo il coraggio di aiutare gli altri, solo per la gioia di porgere il nostro aiuto ai bisognosi.
A volte bisogna essere eroici.
Ognuno può essere eroe della propria vita. Non occorre compiere gesti grandi e nobili: basta fare con amore e buonumore le piccole, umili cose della giornata.

                                                                       Da “Un momento per favore” di J. Maurus

Sarà Natale se...

 


Sarà Natale se...

 

 


Abbiamo perso l’orientamento. Bombardati dalla pubblicità che ci ricorda come si deve acquistare questo o quello per “fare Natale”. I Centri Commerciali aperti h24 ammiccano con le loro luci sfavillanti e ci invitano a spendere soldi in cose che poi dimenticheremo in qualche cassetto o, peggio, ricicleremo. Eppure per noi Cristiani il significato del Natale dovrebbe essere chiaro.
Scriveva Testori: “ll Natale è la nascita assoluta che riflette, illumina, redime e benedice tutte le nascite”.
Perché il Natale è un invito ad amare la vita: di tutti, di chi ci sta intorno e dei lontani, consapevoli che Gesù con la sua nascita ha abbandonato la gloria per associarsi al nostro groviglio di contraddizioni, alla avventura delle nostre vite.
Mi è capitato di leggere questa preghiera che mi ha fatto riflettere sulla nostra pochezza: "
Dio ha abbandonato la sua gloria ed è venuto a me. Ha vissuto con gli esseri insignificanti come me. Per me e in vece mia si è rassegnato a prendere su di se vergogna e umiliazioni. Chi sono io?”
Parole di un teologo, un uomo di Chiesa... ed invece è un brano della canzone “Chi sono io?” di Elvis Presley, uomo che ha vissuto una vita piena trasgressioni, proteste e spiritualità, ribellione e fede.
Certamente c’è ancora tempo per mettere ai piedi di quel Bambino le nostre fragilità. Solo così riusciremo a cambiare davvero come Lui ha cambiato il mondo.
Buon Natale: tanta serenità e luce per tutti noi!

L'amore della famiglia

 


L'amore della famiglia

 

 


Ho assistito ad una bella scena, oggi. In treno, durante le interminabili ore di viaggio tra casa e lavoro, una famiglia ha attirato la mia attenzione. Una giovane mamma e papà di, credo, venticinque o ventisei anni, e il loro bambino, che forse avrà avuto dieci mesi, su per giù come la mia nipotina. Il bambino aveva due occhioni neri furbi e vivaci, manine e guance grassottelle, lunghe ciglia, un sorriso sdentato destinato a conquistare tutti i cuori. Mamma e papà intrattenevano il pupo, gli parlavano, gli davano la pappa da mangiare, aiutandosi a vicenda. Quando qualcuno degli altri viaggiatori guardava il bambino sorridendo, il papà cercava di intercettarne lo sguardo per ricambiare il sorriso e mostrarsi a testa alta. Quasi a dire "sì, è il mio bambino, ed è bellissimo!". Ho visto tanta fierezza, amore e orgoglio in quel sorriso. La mamma, poi, ha iniziato a cantare una ninna nanna, perché il bimbo, come tutti i bambini della sua età, faceva un po' di capricci. La sua voce era incantevole, le note allegre. Mi ha ricordato il caldo, l'allegria, il ballo di una terra lontana. L'Africa. Questa famiglia era africana. Il loro bambino uno di quelli che alcuni di voi chiamate "negro di merda". Ho pensato allo sguardo fiero di quel papà e a cosa deve provare nel sapere che spesso questa società sarà ostile per il cucciolo che adesso, lui e la mamma, possono proteggere in un solo abbraccio, ma che domani dovrà affrontare da solo. Che spesso sarà cattiva, ingiusta. Però oggi sono felice, perché quella famiglia aveva amore, affetto, gioia e allegria e me ne ha regalato una piccola parte.

Dunque, grazie.

                                                                                     (liberamente tratto dal web)

 

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