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Un paio di scarpette rosse


 

 

Africa libera

  

 

Solo lo sviluppo renderà l’Africa davvero libera. Non crediamo nell’emergenza, crediamo nello sviluppo per porre le basi di una libertà futura.

I nostri missionari non perdono mai la grinta e la fiducia che si fondano certamente su una fede rocciosa. Solo così si può spiegare il coraggio e la tenacia di questi uomini e donne che non si arrendono.

Le battaglie per la salute, per la giustizia, l’uguaglianza, l’istruzione, la convivenza pacifica vengono portate avanti da loro, in prima linea e da noi, le retrovie di supporto.

Ad esempio, il progetto a sostegno della Casa famiglia di Soddo, dove operano i nostri infaticabili Lina e Antonio, mira a dare futuro alle donne, anello più debole della società, spesso escluse dal lavoro e costrette ad uno stato di sudditanza dai maschi.

Queste ragazze che vivono in estrema povertà e abbandono, senza protezione e facile preda di approfittatori possono così frequentare regolarmente la scuola, hanno copertura sanitaria e psicologica e a turni si occupano della gestione della casa famiglia.

Una grande opera di promozione sociale che mette basi solide per la vita, svolgendo un’azione concreta che esce dalle logiche dell’emergenza.

Noi vogliamo investire sulle persone perché solo così continueremo a dare la vita.

E finché c’è vita c’è speranza in un futuro migliore per tutti.

Diseguaglianza sociale


  

Non rassegnatevi

alla disparità sociale

  


"
Siete chiamati a cercare sempre di farvi prossimi degli altri, specialmente delle persone in situazioni di precarietà; a non rassegnarvi alla disparità sociale, radice dei mali della società, ma a promuovere una conversione ecologica al servizio della salvaguardia della casa comune”.

E’ l’esortazione pronunciata lunedì 12 marzo da Francesco ai parlamentari e ai politici della provincia di Marsiglia, regione dalla variegata composizione sociale.

Penso ai migranti, ai rifugiati e a ciò che è già stato fatto per venire loro in aiuto. Si tratta di perseverare nella ricerca di mezzi compatibili con il bene di tutti, per accoglierli, proteggerli, promuovere il loro sviluppo umano integrale e integrarli nella società”.

Poi, sul tema delle diversità, ha aggiunto:

Vi incoraggio ad essere creatori di legami tra gli spazi urbani e quelli rurali, tra il mondo degli studi e quello delle professioni, affinché il dinamismo dei territori sia sempre arricchito dalle varie specificità”.

                                                         (Da “Credere” 25 marzo 2018)

Un paio di scarpette rosse


 

Beati i miti o beati i furbi?

  

Cercando di vivere da cristiani si può passare per persone prive di carattere, deboli, stupide. Quelli di cui il mondo ha un’alta considerazione sono i forti, i potenti, i violenti, i furbi, gli arroganti.

La via del successo che ci viene additata ha come riferimento il potere e l’apparire.

A volte un atteggiamento arrogante lo si riscontra anche tra quei cristiani che vorrebbero imporre il loro punto di vista con la forza, almeno nei toni.

Tra le beatitudini evangeliche, carta di identità del cristiano, troviamo però anche questa: “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra” (Matteo 5,5).

La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell’aspetto dell’umiltà che si manifesta nell’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova il suo perfetto modello in Gesù, mite e umile di cuore.

Mitezza significa non scegliere mai la violenza, l’odio, la sopraffazione, l’arroganza.

Pensiamoci: in fondo l’arrogante, il violento e il superbo sono davvero felici?

A noi cristiani è dato il compito di imitare Gesù mite e umile di cuore per indicare al mondo la via della vera gioia per la costruzione di un mondo migliore.

E’ un punto di arrivo, un cammino da percorrere. Bisogna però iniziare, perché il cristianesimo, come ha detto di recente papa Francesco, è “una religione pratica”.
                                                                                                 (Da “In dialogo con don Antonio/ Credere n. 26)

Un paio di scarpette rosse


 

Tutti zitti: il silenzio è

una cura

  

 

Il rumore non si può imporre sul rumore, il silenzio sì” diceva Mahatma Gandhi.

E lui di silenzio era un esperto: lo praticava un giorno a settimana, ogni lunedì. Lo considerava un appuntamento di purificazione energetica e un esercizio di presenza.

Tuttavia, niente sembra più lontano dalla vita attuale: la facilità delle comunicazioni ha reso più rapidi i tempi di relazione, ma presto il mezzo è stato scambiato con il fine. Social, internet, telefoni cellulari, secondo gli esperti di neuroscienze, sono diventati oggetto di vere e proprie dipendenze. Il risultato sono ansie da iper reazione, attenzione frammentata, la sensazione di esistere solo in quanto si dice la propria e si è visibili. Un grande brusio per evitare il silenzio interiore.

Kankya Tanner, monaca zen che vive nei boschi dell’Alsazia, propone di portare un po’ di silenzio sempre con sé. Ci spiega che il silenzio non è assenza di rumore: è una forma di ascolto e di attenzione e richiede concentrazione.

I benefici vanno dal benessere personale, a quello sociale fino alla pace nel mondo, perché “gli stati dell’essere sono contagiosi e i silenziosi - che si astengono dal reagire - sono i santi del XXI secolo”.

L’ostacolo peggiore da affrontare lo aveva individuato già Blaise Pascal: “Tutta l’infelicità umana - scriveva - deriva da una sola cosa: l’incapacità di starsene tranquilli in una stanza”.

Così oggi è cosa sempre più rara poter semplicemente vivere: bisogna contemporaneamente twittare l’istante, fotografarlo, condividerlo. Evitare ogni disagio o solitudine interiore riempiendola.

Proponiamoci allora il silenzio: non sarà subito facile uscire dalle abitudini che hanno tracciato solchi. Serve determinazione, esercizio e ripetizione. Ma il silenzio è una conquista alla portata di tutti e i suoi doni cambiano la vita.

(Giulia Calligaro da “Io donna” del 2 dicembre 2017)

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