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Un paio di scarpette rosse



 

Caro genitore

  

 



Se a 6 anni consenti a tuo figlio di fare quel che vuole, se lo difendi quando è indifendibile, se ridi quando fa il maleducato, se lo giustifichi quando risponde male ad un’insegnante o ad un amico allora non hai capito nulla né sull’educazione né sul rispetto del prossimo.

Se tu sei al bar e tuo figlio mangia la brioche o le noccioline e quando ti alzi per terra sembra che sia passato uno tsunami allora ti pieghi sulle tue belle ginocchia, prendi un fazzoletto di carta e pulisci. Magari ti ricordi di tenere il bambino vicino la prossima volta e di insegnargli piano piano a stare al mondo.
Se tu aiuti il prossimo, sorridi, saluti, ringrazi, stai certo che lo faranno anche i tuoi figli. Gli verrà naturale.
Non avrai bisogno di s.o.s. tata per porre rimedio ad una situazione che ti è scivolata dalle mani.
Noi genitori dobbiamo stare attenti a quel che diciamo. Se l’insegnante sgrida nostro figlio o si lamenta del suo comportamento non possiamo dare giudizi negativi in merito al comportamento di chi rappresenta un’istituzione, soprattutto non davanti a nostro figlio. Sminuiremmo la figura dell’insegnante e nostro figlio si sentirà autorizzato a comportarsi come vuole perché difeso direttamente da noi.
Altro errore gravissimo che facciamo è quello di criticare qualcuno in presenza dei nostri figli.
La critica non è costruttiva. Il paragone non è costruttivo. Nostro figlio non è onnipotente!
Nostro figlio ha pregi e difetti. A noi sembrerà il migliore e magari lo è anche.
Possiamo gratificarlo, dirgli che siamo orgogliosi di lui.
Ma non dobbiamo farlo sentire onnipotente perché il passo dall’egocentrismo alla maleducazione è brevissimo.
Se tuo figlio non condivide i suoi giochi, è un maleducato.
Se si permette di mancarti di rispetto, è un maleducato.
Se non aiuta mai nessuno in nessuna situazione, è un maleducato.
Se cerca di manipolare gli altri, è un maleducato.
Molte di queste situazioni, caro genitore, sono colpa tua.
Un suggerimento: educare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco.
(Elisa Toscano)

Un paio di scarpette rosse

 27 Gennaio 2018 - Giornata della memoria


 

Auschwitz

  

 

son morto con altri cento

son morto ch'ero bambino

passato per il camino

e adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c'era la neve

il fumo saliva lento

nel freddo giorno d'inverno

e adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz tante persone

ma un solo grande silenzio

è strano non riesco ancora

a sorridere qui nel vento.

Io chiedo come può l'uomo

uccidere un suo fratello

eppure siamo a milioni

in polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone

ancora non è contento

di sangue la belva umana

e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà

che l'uomo potrà imparare

a vivere senza ammazzare

e il vento si poserà.

(Francesco Guccini)

Natale Africa




Natale Africa

 


 

Vita e morte si fondono in te:
nel vociare gioioso dei tuoi bimbi, che si placa solo alla venuta del buio,
nella carcassa di un cane, abbandonata su un ciglio di una strada polverosa,
nelle tue donne forti e minute, piegate sotto sproporzionate fascine di legna,
 ricurve per l' avvinghiarsi dei loro piccoli coperti di stracci,
da cui buffi occhietti scrutano stupiti il mondo,
in un bimbo denutrito, in un vecchio moribondo,
in una capanna di foresta di cedri e falsi banani,
rifugio per donne, uomini e bimbi,
insieme ad asini, capre, mucche e polli,
a scaldarsi, in quel tepore che vince il freddo fuori,
ad esorcizzare il buio;
e' Natale tutti i giorni,
e tutto si fonde, si fondono la terra, gli uomini e gli animali,
in un canto all'unisono di vita, che arriva in cielo,
per la gioia di Dio, che sorride alla Terra ed agli uomini.
E poi' le luci scintillanti della citta',
gli addobbi natalizi,
l' immenso centro commerciale,
stridono con le case di cartone e di lamiere,
coi bambini di strada, nella notte, al buio ed al freddo,
sotto un incanto di stelle.
Contraddizioni sotto il tuo cielo,
di alba e di tramonto,
di vita e di morte,
di sole e di luna,
di ricchezza e di  poverta',
di gioia e di dolore,
la gioia di averti incontrata, amata e vissuta,
il dolore di lasciarti, in questo tramonto che mi strappa da te,
che sei essenza,
che sei mamma,
Africa!

(Giuseppe Luca Mantegazza)

Maria Regina Canale




Suor Maria Regina Canale

 

 

 

Nel suo messaggio per la 51esima Giornata Mondiale della Pace, celebrata in tutto il mondo il primo gennaio, papa Francesco ha indicato santa Francesca Saverio Cabrini tra coloro che hanno creduto nel “sogno” di un mondo in pace.

Molti nella storia hanno creduto in questo sogno e quanto hanno compiuto testimonia che non si tratta di una utopia irrealizzabile” ha scritto Bergoglio. E ricordando madre Cabrini scrive “Questa piccola grande donna, che consacrò la propria vita al servizio dei migranti, ci ha insegnato come possiamo accogliere, proteggere, promuovere e integrare questi nostri fratelli e sorelle”.

Noi del Seme della Speranza abbiamo il grande privilegio di conoscere una altrettanto grande donna: la nostra “sister” suor Maria Regina Canale. Al suo fianco abbiamo lavorato per anni in Missione in Etiopia. Attualmente è assistente generale per l’Europa della Congregazione.

A quante nostre serate ha regalato la sua presenza! Chi non ricorda la sua empatia e la sua simpatia contagiose?

Suor Maria Regina è entrata nelle Missionarie del Sacro Cuore quando non aveva ancora 17 anni. “Mi sento realizzata e felice”, confida. Laureata in Lettere, ha insegnato a Roma e si è occupata della formazione anche in Spagna. Ha conseguito alla Pontificia università Gregoriana il dottorato in teologia. Dalla fine del 1999 al 2014 è stata missionaria nel Sud dell’Etiopia.

Sister Maria Regina racconta come, con altre tre consorelle, abbia aperto una comunità come segno di solidarietà in uno dei Paesi più poveri del pianeta, proprio in Etiopia, a Dubbo. Tiziana ed Enrico che hanno svolto volontariato presso questa Missione, la indicano come esempio di organizzazione ed efficienza. Un vero gioiello.

Tanti sono i progetti di questa infaticabile missionaria: l’anno prossimo verrà aperta una nuova missione in Uganda e anche una Casa di accoglienza a Roma.

Noi amiamo la nostra suor Maria Regina per la sua semplicità, la sua generosità e disponibilità. Mai a corto di idee e di attenzioni. Sempre l’impegno per i deboli, i miseri quelli che hanno bisogno anche di amicizia e di vicinanza umana oltre che di sostentamento reale. Nel suo esempio non ci stancheremo di portare avanti i nostri progetti di sostegno fra i più poveri. Certi che sempre ci sosterrà con la sua forza.

Grazie Sister per il suo esempio. La aspettiamo presto, prestissimo, fra di noi a Bollate. Buon lavoro!

Volontari




Natale a Salamanca

 


Mi concedo un’ora di pausa dallo studio pomeridiano e faccio due passi per strade di Salamanca. Il vento è gelido e si aggira pungente tra le strade del centro. Le luminarie colorate gettano luci allegre sui passanti che sbirciano le vetrine alla ricerca del regalo giusto per il Natale. Sotto un portone della Calle Zamora un ragazzo suona un violino scordato e il suo fedele cagnolino lo ammira accucciato sopra una coperta sudicia. La via è strapiena di gente, un fiume di berretti e sciarpe colorate. Tutti vanno di fretta, saltano da una vetrina all’altra. Una donna sta seduta ai piedi di un lampione con le mani tese, una ciotola sbeccata con pochi spiccioli e un cartello appoggiato a terra con una scritta illeggibile. Una ragazzo, bardato come un alpinista appena sceso dal K2, distribuisce pubblicità di uno dei mille bar della città. Una coppietta sta abbracciata su una panchina, sembra un innesto vivo su quel tronco gelido in attesa di vita calda. Con fatica esco dal fiume in piena delle compere natalizie e varco il portone di una delle bellissime chiese del centro. Mi chiudo la porta alle spalle e subito il silenzio, finalmente, viene a farmi visita. La chiesa è quasi buia e deserta, solo una signora anziana sgrana il rosario e bisbiglia le sue orazioni sotto voce. Qualche candela accesa agli altari laterali esalta la bellezza della pietra dorata di Villamayor, elemento essenziale delle costruzioni di Salamanca.

In una delle cappelle laterali è stato allestito il presepe. Bello, semplice, tradizionale. Mi siedo lì vicino e osservo i vari personaggi. Ognuno è intento nel suo lavoro: il panettiere, il pescivendolo, il pastore e molti altri. Trovo pure il mio personaggio preferito: il dormiglione. Una striscia sottile di farina traccia i sentieri di quell’angolo di Bethlemme e uno specchio ovale regala acqua luminosa alla memoria della nascita del piccolo Gesù. La grotta con Maria e Giuseppe è costruita in un angolo. Bella, ampia, ordinata. Gli angeli svolazzano felici e il cucciolo di Messia sorride sereno.

Forse la scena è dipinta con caratteri eccessivamente zuccherini, ma c’è un elemento che attira la mia attenzione: tranne Maria e Giuseppe nessuno dei presenti sulla scena è rivolto a Gesù. Ciascuno è preso dai suoi affari. Ciascuno è preoccupato delle sue cose. Forse il piccolo Gesù non aveva riccioli biondi e guanciotte paffute come nella ricostruzione salmanchina, ma di certo la sua nascita è avvenuta in questo contesto di totale indifferenza.

E forse, realmente, è così anche oggi. Ognuno corre per la sua strada, bada ai suoi affari, si lamenta per la crisi, sbuffa per la politica e per gli intrighi del potere, prepara il menù per le feste di Natale, spera di passare giornate di totale riposo, ricicla qualche regalo per i parenti…

E Lui è lì, in quella culla improvvisata in una mangiatoia.

Gesù nasce nell’indifferenza per fare la differenza.

Da quel giorno in cui Dio ha preso carne nella nostra carne, in cui l’eterno è entrato nel tempo, nulla è come prima. Da quella notte, in cui il primo vagito dell’Altissimo stretto tra le braccia esili e coraggiose di Maria ha riempito la stalla di Bethelemme, è iniziato un tempo nuovo. Il Suo primo respiro ha segnato il punto zero della nostra era. Lui fa la differenza. Ora non è più possibile non schierarsi. L’indifferenza è rifiuto.

O con Lui o contro di Lui. O sulla roccia o sulla sabbia. Non esistono misure di compromesso o scorciatoie. Quel bimbo infreddolito è la nostra dolce rovina: davanti alla sua culla, come davanti alla sua Croce, è ammesso solo il silenzio pieno della contemplazione. L’altro silenzio, quello abitato dall’indifferenza, è il rumore sordo e freddo del rifiuto, è il frastuono caotico che non ha permesso all’innominato ricco di accorgersi del povero Lazzaro.

E ancora, dopo duemila anni, il cucciolo di Messia rimane lì, in quella culla.

Rimane lì per tutti, perché tutti possano accoglierlo, dire sì, scoprire la bellezza gratuita di un amore che chiede solo di essere accolto, che chiede solo di poter amare.

Rimane lì per chi lo ha scelto con tutto il cuore e ha la sensazione di essere rimasto a mani vuote e ora si fa la stessa pungente domanda di Pietro: e noi cosa ne avremo? Ecco perché sei a mani vuote: per abbracciare quel bimbo.

Rimane lì per chi ha la sensazione di aver sbagliato tutto e non ha la forza di ricominciare, perché davanti a quella vita nuova e spumeggiante ricordi che la scintilla della vita di Dio abita la nostra umanità.

Rimane lì per chi si sente diverso, perché ricordi che questa è l’unica cosa che tutti abbiamo in comune e che il Figlio di Dio fatto uomo ha abbattuto ogni muro e ha insegnato a pregare un unico Padre che è “nostro”.

Rimane lì, immobile davanti alla nostra indifferenza, sperando che il soffio dello Spirito trovi uno spiraglio per scalzare le nostre immobilità e ci ribalti dai bastioni delle nostre paure.

Sento una mano che mi tocca la spalla.

“Tengo que cerrar” (Devo chiudere), mi dice un signore anziano sottovoce.

“Lo siento, ya me voy…” ("Mi dispiace, me ne vado...")

Lancio un ultimo sguardo alla mangiatoia...

Rimani lì, Signore.

(Don Roberto)

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