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In Africa

 


Un'unica grande famiglia

 

  

Tra le sensazioni che ci hanno accompagnato in questi mesi di prova vi è stata la percezione della nostra impotenza: un male subdolo e sconosciuto ha condizionato la vita dell’intera umanità e ha visto scienziati e politici spesso privi di bussola.

Una cosa però dovremo ricordare di questo periodo: chi si è assunto il compito di curare, di farsi carico di chi, colpito dal virus, non solo ha sperimentato una pesante sofferenza, e in molti casi la morte, ma anche la solitudine e l’impossibilità di contatto con le persone a lui care.

Penso ai tanti operatori sanitari, ai tanti volontari… e accanto a loro tanti gesti di solidarietà, non ultimi i contributi finanziari che molti hanno offerto per affrontare l’emergenza sanitaria e i numerosi disagi economici che il blocco ha arrecato a tante famiglie.

Nello stesso tempo la nostra finestra è aperta al mondo intero e ci giungono di continuo le richieste dai paesi dove operano i nostri Missionari. Paesi che non hanno sistemi sanitari adeguati, oltre che essere gravati da problematiche economiche e sociali.

E’ il momento della solidarietà: con chi accanto a noi sta vivendo la difficoltà di sostenere la propria famiglia e con chi, pur lontano da noi, sappiamo fa parte di un’unica famiglia, quindi anche lui nostro fratello o sorella che ci tende la mano.

Forse rischiamo anche noi di avere solo pochi pani e pochi pesci, ma sappiamo che Colui che è il pane della Vita, è in grado, con la sua benedizione, di sfamare con quel poco anche le folle.

                                 (don Flavio Della Vecchia)

Si lavora per la riapertura

 



Si lavora per

    la riapertura...

 

 

 

Il mese di maggio è ormai iniziato ma, purtroppo, quest’anno non è stato possibile per la nostra Associazione organizzare il consueto evento primaverile, né attuare la campagna di raccolta fondi pasquale.

Il Coronavirus ci ha costretti a chiuderci in casa è vero, ma non ha bloccato la nostra attività che continua sia sul territorio di Bollate, con la nostra partecipazione concreta ad alcune iniziative di carattere sociale per dare aiuto a chi è in particolare difficoltà, sia in Africa.

In Italia stiamo dando sostegno ad una mamma ed ai suoi quattro figli dopo la prematura scomparsa del capofamiglia a causa del Covid e alla sezione SEO di Bollate.

In Etiopia, sono allo studio nuovi progetti, mentre proseguono i completamenti di quelli già in corso.

In Eritrea purtroppo vista la situazione politica attuale, siamo stati costretti a sospendere tutti i progetti e i sostegni in corso, in attesa di una visita di Mons. Thomas Osman che ci illustri nel dettaglio come possibile procedere negli aiuti.

Speriamo in tempi migliori.

Il Covid19 ci ha trovato tutti impreparati nell’affrontare una simile emergenza sanitaria ma non certo rinunciatari nel proseguo del nostro lavoro.

Un arrivederci a presto

I volontari de Il Seme della Speranza o.n.l.u.s.

Uniti ce la faremo

 




Uniti ce la faremo

 

 

 


Non avrei mai pensato di vedere un nuovo volto, unico, del nostro Paese prendere forma davanti ai miei occhi. Non si tratta di un monumento, ma di una azione collettiva. Tutto accade grazie a voi.


L’altra sera, prima dello speciale delle Meraviglie dedicato a Venezia, Alberto Angela ha voluto mandare un messaggio di ringraziamento, coraggio e speranza a tutti gli italiani.

Mentre ci sono politici che cavalcano le peggiori fake news, soffiano sul fuoco della paura, usano l’emergenza per dividere e per dividerci, ascoltare quest’uomo è una boccata d’ossigeno per chi crede ancora nella scienza, nella competenza, nella cultura e in questo Paese.

Voi che siete negli ospedali - ha detto - nei reparti di terapia intensiva, chi si occupa delle analisi, chi si occupa di dover pulire questi luoghi, chi si occupa della loro amministrazione. E ancora chi sta nei trasporti, nei supermercati, in quelle aziende che ancora lavorano, le Forze dell'Ordine, tutti in prima linea. E poi ci siete anche voi. Voi che siete a casa, come me. Anche voi state salvando delle vite. Non uscendo di casa impedite al virus di diffondersi e così salvate tante vite. Certo, molti non ce l'hanno fatta. E penso al vuoto che hanno lasciato in tante famiglie e io mi stringo a loro. Il nostro Paese ha preso certamente delle decisioni forti. All'inizio, ci guardavano con sospetto, apparivamo come degli untori. Poi le cose sono andate in un altro modo e adesso l'Italia è diventata un modello da seguire nella lotta a questo mondo. Mi sono chiesto come ha fatto questo piccolo paese come l'Italia a essere un faro, un esempio da seguire. Ci sono tante spiegazioni, ma credo ci sia anche qualcosa che deriva dal nostro patrimonio, frutto delle nostre generazioni passate. Si chiama cultura. Modo di parlare, di scrivere, di vestirsi, di mangiare, tutto questo è emerso in questo momento di emergenza. È come se tutte le generazioni passate siano emerse al nostro fianco, a combattere con noi. Abbiamo 3000 anni di storia. Penso che bisogna solo stringere i denti. E allora? Vi chiedo due cose. Non dimenticate tutte quelle persone che sono state coinvolte in questo sacrificio immenso e non scordiamoci chi non c'è più. Quando partirete per fare dei viaggi, quando sarà tutto finito, premiate l'Italia. In questo modo, premierete anche il nostro patrimonio e tutte le generazioni passate che stanno lottando insieme a noi.

Grazie Alberto

In Africa

 

 




In Africa

 

 

 

In Africa non ci sono terapie intensive.
In Africa non ci sono grandi scienziati.
In Africa non ci sono farmaci sperimentali.
In Africa non c'è  l’Amuchina e nemmeno l'acqua per lavarsi.
In Africa non ci sono tamponi per controllare la pandemia.
In Africa non ci sono ne anestesisti e nemmeno rianimatori.
In Africa non ci sono medicine.
In Africa non c'è nemmeno il pane per sfamarsi, figuriamoci una mascherina.
Invece da noi oggi, crollano tutte le certezze dell’era del benessere infinito.
Della salita inarrestabile degli indici.
Delle vacanze perenni.
Delle navi da crociera-grattacieli.
Del consumo vorace di tutto.
Dai social media alle serie di Netflix.
Dal cibo gourmet ai selfie davanti alle opere d’arte.
Abbiamo costruito un Mondo meschino, misero, dove c'è chi ha troppo e chi non ha niente, ma ve lo dico sinceramente, un Mondo che ha la metà della popolazione, che non ha gli stessi diritti dell'altra metà, non può assolutamente crescere, nemmeno progredire.

(dal web)

Libro rosso di Jung

 


Quarantena

 

 

 

"Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?"
"Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?"
"Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari".
"E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?"
"Non me lo perdonerei mai, anche se per me l'hanno inventata questa peste!"
"Può darsi, ma se così non fosse?"
"Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa".
"E voi privatevi di ancor più cose, ragazzo".
"Mi prendete in giro?"
"Affatto... Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso".
"Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?"
"Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa".
"E di cosa vi privaste?"
"Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po' di primavera a terra. Ci fu un'epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un'abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere.
Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare dei cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l'uomo in salute.
Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all'alba. Un vecchio indiano mi aveva detto anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto una tale forza. La sera era l'ora delle preghiere, l'ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita.
Sempre l'indiano mi consigliò, anni prima, di prendere l'abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave.
Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l'attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L' attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente.
Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell'equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando".
"Come andò a finire, Capitano?"
"Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto".
"Vi privarono anche della primavera, or dunque?"
"Sì, quell'anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela più".
                                                                   (dal Libro Rosso di Jung)

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