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Un paio di scarpette rosse



 

Essere e avere

  


Il professor Grammaticus, viaggiava in treno, ascoltava la conversazione dei suoi compagni di compartimento.
Erano operai meridionali, emigrati all’estero in cerca di lavoro: erano tornati in Italia per le elezioni, poi avevano ripreso la strada del loro esilio.
"Io ho andato in Germania nel 1958 diceva uno di loro".
"Io ho andato prima in Belgio, nelle miniere di carbone ma era una vita troppo dura".
Per un poco il professor Grammaticus li stette ad ascoltare in silenzio.
A guardarlo bene, però, pareva una pentola in ebollizione.
Finalmente il coperchio saltò, e il professor Grammaticus esclamò, guardando severamente i suoi compagni:
"Ho andato! Ho andato! Ecco di nuovo il benedetto vizio di tanti italiani del Sud di usare il verbo avere al posto del verbo essere. Non vi hanno insegnato a scuola che si dice... sono andato?".
Gli emigranti tacquero, pieni di rispetto per quel signore tanto perbene, con i capelli bianchi che gli uscivano di sotto il cappello nero.
"Il verbo andare, continuò il professor Grammaticus, è un verbo intransitivo, e come tale vuole l’ausiliare essere".
Gli emigranti sospirarono. Poi uno di loro tossì per farsi coraggio e disse: 
"Sarà come lei dice, signore. Lei deve aver studiato molto. Io ho fatto la seconda elementare, ma già allora dovevo guardare più alle pecore che ai libri. Il verbo andare sarà anche quella cosa che dice lei... il verbo intransitivo. Ecco, sarà un verbo intransitivo, una cosa importantissima, non discuto. Ma a me sembra un verbo triste, molto triste. Andare a cercar lavoro in casa d’altri... Lasciare la famiglia, i bambini".
Il professor Grammaticus cominciò a balbettare.
"Certo... veramente… insomma... però… comunque si  dice sono andato, non ho andato".
Ci vuole il verbo “essere”: io sono,tu sei, egli è…
Eh, disse l’emigrante, sorridendo con gentilezza,io sono, noi siamo! Lo sa dove siamo noi, con tutto 
il verbo essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se abbiamo andato in Germania e in Francia. Siamo sempre là, ed è là che vorremmo restare e avere belle fabbriche per lavorare e belle case per abitare.
E guardava il professor Grammaticus con i suoi occhi buoni e puliti.
E il professor Grammaticus aveva una gran voglia di darsi dei pugni in testa.
E intanto borbottava tra sè: Stupido! Stupido che non son altro.
Vado a cercare gli errori nei verbi… Ma gli errori più grossi sono nelle cose!”

da: Il libro degli errori – Gianni Rodari

lavoro: erano tornati in Italia per le elezioni, poi avevano ripreso la strada del loro esilio.
" Io ho andato in Germania nel 1958 diceva uno di loro".
" Io ho andato prima in Belgio, nelle miniere di carbone ma era una vita troppo dura".
Per un poco il professor Grammaticus li stette ad ascoltare in silenzio. A guardarlo bene, però, pareva una pentola in ebollizione.
Finalmente il coperchio saltò, e il professor Grammaticus esclamò, guardando severamente i suoi compagni:
" Ho andato! Ho andato! Ecco di nuovo il benedetto vizio di tanti italiani del Sud di usare il verbo avere al posto del verbo essere. Non vi hanno insegnato a scuola che si dice...sono andato"?
Gli emigranti tacquero, pieni di rispetto per quel signore tanto perbene, con i capelli bianchi che gli uscivano di sotto il cappello nero.
" il verbo andare, continuò il professor Grammaticus, è un verbo intransitivo, e come tale vuole l’ausiliare essere".
Gli emigranti sospirarono. Poi uno di loro tossì per farsi coraggio e disse:
" Sarà come lei dice, signore. Lei deve aver studiato molto. Io ho fatto la seconda elementare, ma già allora
dovevo guardare più alle pecore che ai libri. Il verbo andare sarà anche quella cosa che dice lei... il verbo intransitivo. Ecco, sarà un verbo intransitivo, una cosa importantissima, non discuto. Ma a me sembra un verbo triste, molto triste. Andare a cercar lavoro in casa d’altri ... Lasciare la famiglia, i bambini".
Il professor Grammaticus cominciò a balbettare.
" Certo .. veramente …insomma... però … comunque si  dice sono andato, non ho andato".
Ci vuole il verbo “essere”: io sono,tu sei, egli è …
Eh, disse l’emigrante, sorridendo con gentilezza,  io sono, noi siamo! … Lo sa dove siamo noi, con tutto
il verbo essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se abbiamo andato in Germania e
in Francia. Siamo sempre là, èd là che vorremmo restare, e avere belle fabbriche per lavorare, e belle
case per abitare.
E guardava il professor Grammaticus con i suoi occhi buoni e puliti.
E il professor Grammaticus aveva una gran voglia di darsi dei pugni in testa.
E intanto borbottava tra sè: Stupido! Stupido che non son altro.
Vado a cercare gli errori nei verbi … Ma gli errori più grossi sono nelle cose!”

da: Il libro degli errori – Gianni Rodari

Un paio di scarpette rosse

 27 Gennaio 2019


 

Giornata della memoria

  

 

Ieri ho detto ai ragazzi: “Domani venite a scuola con una bottiglietta d'acqua vuota”.
Sui loro volti, lampante che neanche le insegne di Las Vegas, la domanda “E che cavolo si inventerà stavolta il prof?” “Lo vedrete domani”.
Oggi sono entrato in classe. Con un secchio.
Ho detto ai ragazzi di sedersi in cerchio. Ho dato a ciascuno di loro un piccolo foglio di carta.
Gli ho detto: “Adesso pensate alla persona a cui volete più bene al mondo. Poi disegnate un omino stilizzato e vicino ci scrivete il suo nome”
“Ma io posso scriverne due?” “Certo, anche tre se vuoi!”
E dopo ho chiesto loro di riempire la bottiglietta, di versarla nel secchio e di tornare a sedersi.
L'idea me l'ha data un libro: Ammare, di Alberto Pellai e sua moglie Barbara Tamburini. Perché domenica è la Giornata della Memoria, e sinceramente a me di parlare solo di Shoah non mi va più. Perché per pensare che il passato si stia ripetendo identico bisogna essere un po' miopi. Ma per non vedere pezzi di quel passato nel nostro presente, bisogna essere proprio ciechi.
Davanti ai loro occhi ho fatto una grande barca di carta, e gli ho detto di metterci ciascuno il proprio foglietto sopra. Poi ho appoggiato la barca sulla superficie dell'acqua. Infine ho iniziato a far vacillare il secchio, fino a che la barchetta non si è ribaltata, facendo cadere giù tutti i foglietti. Tutti quei nomi, quegli omini, giù in fondo al secchio.
C'era chi aveva messo il papà, chi la migliore amica, chi il cuginetto di un anno.
Si è creato un silenzio incredibile. Più di un minuto senza che nessuno fiatasse. E se qualcuno sa come sono i ragazzi di terza media, sa che avere un minuto di totale spontaneo silenzio è quasi un miracolo. C'erano anche degli occhi lucidi. Oltre ai miei, dico.
E allora ho raccontato loro del naufragio del 18 aprile 2015, in cui nel Canale di Sicilia sono morte più di mille persone, tante quasi come nel Titanic. La loro barca, un peschereccio fatiscente che di persone ne poteva contenere al massimo duecento. E ho raccontato loro di una di quelle: un bambino più piccolo di loro, originario del Mali, che è stato ritrovato con la pagella cucita sulla giacca. “Secondo voi perché un bambino dovrebbe salire su una barca così?”
“Per far vedere che aveva studiato!”
“Per dire a tutti che era bravo a scuola!”
E poi un ragazzino macedone, di fianco a me, a bassa voce ha detto:
“Forse per far vedere che non era cattivo, come molti pensano di tutti quelli che arrivano”.
La campanella è suonata. Anche per non appesantire troppo il momento, ho detto loro di mettere a posto tutto, di andare a ricreazione. Sono usciti, e piano piano hanno ricominciato a parlare, a chiedersi la merenda, le solite cose. Sono rimasto solo a sistemare la mia roba.
Poi è successa una cosa. A un certo punto sento dei passi dietro di me.
Tre ragazze. “Scusi prof” “Sì?”“Noi vorremmo...” “Voi vorreste...?”
La più coraggiosa delle tre prende il coraggio e dice tutto in un fiato:
“Possiamo tirare fuori quei fogli da lì?”.
Ci siamo chinati, li abbiamo tirati su uno per uno, insieme.
E intanto io le guardavo, e dentro di me pensavo che finché tre ragazze decidono di saltare la ricreazione per tirare su dal fondo di un secchio dei fogli di carta, c'è ancora motivo per credere in un mondo diverso.
(Enrico Galiano)

I Mille Volti dell'Africa


I Mille Volti dell'Africa


Durante la nostra serata/evento del 31 maggio a villa Arconati di Castellazzo é  stato presentato il  libro 
"I mille volti dell’Africa".

Ci sono viaggi da cui non torni, sono quelli più importanti, quelli che ti cambiano, quelli che dopo non è più uguale”.

Inizia così la presentazione del nostro libro fotografico, con la testimonianza di Enrico e Tiziana che il viaggio della vita l’hanno fatto diverse volte.

Nelle loro fotografie la storia di un popolo meraviglioso. Che non si arrende, che trova il senso di tutto in quel poco che una terra spoglia offre.

Gente ricca di tradizioni, di saggezza, tenerezza e creatività. Gente che non si spaventa per il duro lavoro, al contrario ne fa occasione per sorridere nella fatica.

La bellezza di bambini che posseggono la gioia dell’amicizia vera. Nessuna invidia per il bene dell’altro, condivisione a tutto tondo.

E la dedizione dei nostri Missionari. Monsignor Thomas Osman che ci ha regalato alcune fotografie bellissime. Frate Aklilu, Sister Maria Regina, Antonio e Lina, le nostre sentinelle infaticabili che da anni regalano mesi e mesi di lavoro per realizzare progetti per la scuola, per la sanità, per sconfiggere la fame.

Davvero vi invitiamo caldamente ad acquistare questo libro perché le immagini sono quelle che danno un senso alla nostra attività di volontariato. I bambini che sorridono alla macchina fotografica sono quelli per cui ci spendiamo con gioia.

Aiutateci con il vostro acquisto a donare loro un pezzetto di speranza e spartirete con noi lo stupore per questi mille volti di un’Africa vitale e luminosa.

                                              I Volontari de Il Seme della Speranza o.n.l.u.s.

Pannello progetti 2017

  

Il diritto alla felicità

e il senso della vita

 

"Qui le persone sono così felici che nemmeno amano, sono realizzate  e non hanno bisogno  l’uno dell’altro... nemmeno di Dio, la mattina si siedono davanti alle loro case inondate di luce e fino a sera aspettano la morte…».

La felicità sta nelle piccole cose, sta nelle cose medie, in quelle grandi, in quelle grandissime, oppure nelle astrazioni? La felicità è cosa strettamente individuale oppure esiste un’aspirazione alla felicità collettiva? La felicità è nel primo caffè della mattina, in una giornata di sole, un sorriso, l’incontro con una persona che ci sta simpatica, l’amore, il sesso, una vincita al superenalotto, una promozione sul lavoro, oppure la felicità è la pace nel mondo, il realizzarsi di un sogno o bisogno che è sociale, dunque, se non di tutti, almeno di molti? La felicità, oggi, qui, mi pare che spesso coincida con queste tre condizioni: essere belli, ricchi e famosi, per cosa poco importa. Nell’era dei selfie e del narcisismo collettivo più che altro, conta che gli altri ci vedano così, ci guardino e pensino: è bello, ricco e famoso e in quello sguardo esterno che ci ammira e ci invidia, troviamo ciò che ci sfugge in noi stessi e di noi stessi, come se appunto, l’importante, non fosse tanto l’esserlo, felici, ma il sembrarlo.
Eppure la vita, per essere interessante e degna, non deve per forza essere felice. La felicità accade, come un arcobaleno dopo un temporale e così come rapidamente dal nulla accade, così sparisce, ci lascia e ne resta soltanto il ricordo. Ce ne sarà un’altra? Può darsi, ma importa? Quando penso ai bambini, ai ragazzi e vedo come si cerchi di tenerli al riparo da tutte le minime frustrazioni, le piccole infelicità, le sconfitte, penso che forse non tutti i torti avevano le generazioni dei nonni e dei bisnonni che i figli li educavano anche al sacrificio, alla rinuncia, nell’idea che la vita, più che felice dovrebbe essere dignitosa e sensata, trascorsa avendo in mente uno scopo e perseguendolo con quella meschina, immensa qualità che é l'ostinazione.

«Nell’antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale». 

                                                        (da: “Le parole per dirlo” di Simona Vinci)

Noi, volontari  del "Seme della Speranza"

Pannello progetti 2017

Per una volta vogliamo parlare di noi, volontari del “Seme della Speranza”. Perché, a volte, il sostantivo “volontario” viene un po’ abusato. Un gran calderone dove si raggruppano un po’ tutti: i volontari puri e quelli che lo fanno per mestiere perché percepiscono uno stipendio per la loro attività.
Noi siamo i volontari della prima ora. Quelli che non hanno mai mollato perché ci credono. Non abbiamo tempo da buttare ma lo ritagliamo in mezzo a tutte le nostre difficoltà quotidiane, come tutti.
Le soddisfazioni più grandi ci vengono dal sapere di essere importanti per i nostri amici/fratelli Eritrei ed Etiopi. Non vogliamo vederli morire nelle traversate della morte. Vogliamo davvero che abbiano tutte le possibilità per affrancarsi con l’istruzione, la lotta alla fame e alle malattie.
Per questo ci adoperiamo in ogni modo per reperire fondi. Tanto abbiamo fatto ma sappiamo bene quanto ancora c’è da fare.
Solo a scopo esemplificativo ricordiamo opere interamente finanziate da noi.
In Eritrea: il reparto maternità dell’ Health Center di Mogolò con i due grandi tukul di accoglienza (in muratura non di fango e paglia!) il villaggio Fre Tesfa che conta ormai 136 tukul. Stiamo reperendo fondi in attesa del progetto definitivo per l’approntamento della sala operatoria e radiologica per  Mogolò e di due altri tukul di accoglienza.
In Etiopia: completata un'aula e installata pompa per l'acqua alla Saint Mary School di Dubbo.
E la nostra partecipazione a tanti progetti e sostegni come il ponte a Walacha, il panificio per le donne di Konto, la mensa dei poveri di Dubbo, il sostegno alle famiglie del Wolayta, la Casa famiglia di Soddo, il sostegno scolastico e alimentare a Dubbo, Shanto e Soddo, l'importante contributo per la ristrutturazione della Saint Mary School di Dubbo. L’elenco è lungo ed è più agevole leggere il nostro Sito che racconta fedelmente nei particolari tutto quello che bolle in pentola.
Tutto questo nei sei, quasi sette anni dalla nostra costituzione.
Quando i nostri Missionari e amici che operano in zona chiamano noi rispondiamo con fatica, certo, ma con dedizione.
Ci presentiamo a tutti voi con le nostre facce: con semplicità. Non abbiamo paura ad esporci perché sappiamo di operare con moralità e chiarezza.
Il nostro rapporto con voi  si basa sulla fiducia. Bilanci trasparenti illustrati e pubblicati puntualmente ogni anno. A disposizione per ogni dubbio o suggerimento.
Ci avete sempre risposto permettendoci di continuare su questa lunga e impervia strada.
Grazie per la vostra risposta alla consueta distribuzione delle mele valtellinesi! E grazie in anticipo se ci vorrete aiutare durante la campagna natalizia ormai alle porte.
Il Signore ci sia accanto.

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