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Veglia per la pace





Veglia per la pace




«Vorrei chiedere al Signore che ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza non è mai la via della pace!»

«Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità». Papa Francesco ha il volto serio, teso. Ha guidato la prima parte della veglia penitenziale, ha accolto e venerato l'icona della Salus Populi Romani, ha recitato il rosario e prima di iniziare la lunga adorazione eucaristica tiene una meditazione. Davanti a lui, in una piazza San Pietro ormai all'imbrunire, ci sono alcuni ambasciatori, i delegati di altre religioni, politici e uomini delle istituzioni, ma soprattutto tanti semplici fedeli, circa 100mila.

Lo spunto per l'omelia papale è il racconto biblico della Genesi, della creazione: «Dio vide che era cosa buona». Parole, spiega Francesco, dalle quali si comprende che «questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace”» e che «gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole».  Un mondo in cui «ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro». «Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero?».

Ma il mondo in cui viviamo ci sono anche «la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra». E questo avviene «quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà, si chiude nel proprio egoismo. Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto».

Anche a noi, dice il Papa, è rivolta la domanda che Dio rivolge a Caino dopo il primo omicidio della storia: «Dov’è Abele tuo fratello?». «È rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere».

«Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi - afferma Francesco - continuiamo questa storia di scontro tra fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!».

Il no alla guerra, all'intervento armato dalle incalcolabili conseguenze in Siria, ma anche il no all'indifferenza, al voltare lo sguardo dall'altra parte, è evidentemente sottointeso da queste drammatiche parole. «È possibile percorrere un’altra strada?», si domanda il Papa. «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!».

Poi Francesco parla della croce. «Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace!».

Francesco chiede ad ognuno di «guardare nel profondo della propria coscienza» e ascoltare «quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello... penso soltanto ai bambini... e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro!».

«Finisca il rumore delle armi!  - ha detto Papa Bergoglio - La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: "Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!". "La pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità"».

«Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo - ha concluso - per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace».

                                                                                                                                                                              (tratto da La Stampa)

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