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Bimbi sorridenti sull'uscio della loro capanna nei pressi di Boditti

Volontari in missione - 1/23 Agosto 2011


Resoconto di Enrico e Tiziana

per la rivista 'Missionari Cappuccini'



Ogni anno, il Centro Missionario dei Frati Cappuccini di Milano Musocco, chiede a coloro che hanno vissuto l'esperienza di volontariato in missione, di redigere un resoconto da pubblicare sulla rivista 'Missionari Cappuccini'.
Non è facile riassumere in poche pagine il vissuto di un'esperienza importante e significativa, come quella vissuta da Enrico e Tiziana in Etiopia, ma loro ci hanno provato e qui di seguito, potete leggere il risultato del loro lavoro:

"Quando, assieme a mia moglie, abbiamo deciso di partecipare al corso di formazione per volontari in missione, non avevamo intenzione di partire, ma solo di saperne di più, di approfondire le nostre conoscenze in materia.

 È successo però, che dopo i primi incontri, ci si è accesa dentro una fiammella, che è progressivamente aumentata, fino a diventare un vero e proprio incendio, che ci ha letteralmente “obbligati” alla partenza.

 Quando pensavo all’esperienza che avremmo vissuto, le paure erano tante, e quando mi chiedevo: “Ma perché vuoi andare laggiù, perché rischiare di ammalarti, con tutte le malattie che ci sono in quei luoghi?”, non riuscivo a darmi una risposta logica, sentivo però che dovevo andare, perché là avrei trovato la mia risposta.

 Alla fine, quando abbiamo deciso di partire, grazie anche a una combinazione di eventi che hanno reso possibile l’impossibile (ferie al lavoro, ecc.), ho capito che non eravamo stati noi a prendere questa decisione,

era il Signore che ci aveva scelto!

E così, il 1° di agosto del 2011, siamo atterrati ad Addis Abeba per una nuova esperienza della nostra vita, una delle più belle. Ad aspettarci Frate Aklilu, il nostro referente, con cui è nato da subito un bellissimo rapporto, che è continuato oltre il termine di questa esperienza e dura tutt’ora, ormai cementato da collaborazione, amicizia e stima reciproca.

Ad Addis Abeba siamo rimasti qualche giorno, e abbiamo subito capito quanto quella realtà fosse diversa dalla nostra. La città è caotica, molto inquinata, e la povertà è visibile ovunque, non c’è bisogno di spingersi nei sobborghi per vederla. Visitando la città, sono rimasto molto colpito dalle impalcature per la costruzione degli edifici, tutte realizzate con tronchi di eucalipto, delle autentiche opere d’arte, ma un vero disastro in quanto a sicurezza. Incredibile veder innalzare moderni palazzi di vetro, con impalcature di questo genere! Mi ha colpito anche vedere diverse mucche sdraiate sullo spartitraffico di strade cittadine molto trafficate, macchine da tutte le parti, rumore, inquinamento e loro lì, tranquille a ruminare, perché pare che in quella situazione, i parassiti le tormentino di meno. Insomma, un altro mondo.

Dopo alcuni giorni siamo partiti per il Sud e appena fuori dalla grande città, abbiamo cominciato a vedere la vera Etiopia, quella della natura rigogliosa e dei villaggi di capanne. In effetti, al Sud, le case in muratura si vedono solo nelle cittadine più grandi, mentre la norma sono i villaggi di capanne e di case costruite con una struttura di legno rivestita con fango misto a paglia, la cosiddetta “cica”.

Prima di partire, mi chiedevo perché coprire i 350 chilometri di strada fra Addis Abeba e Soddo, richiedesse tanto tempo (circa cinque ore), e pensavo che fosse dovuto alla qualità delle strade. In realtà, la strada per il Sud è bella, asfaltata e ampia, il problema è l’affollamento: persone che si spostano con animali, carretti, e la strada è loro, non si spostano, sono le macchine che devono rallentare e aspettare il momento opportuno per passare oltre! Quando si esce da Addis Abeba, le automobili sono davvero poche, la gente non può permettersele, e quelle poche che si vedono, sono generalmente del governo, delle varie organizzazioni presenti sul luogo e delle missioni.

Il paesaggio è di una bellezza da togliere il fiato, ondulato, verdissimo, forse perché ci si trova in quota (sempre oltre i 2000 metri) o anche perché siamo arrivati nel periodo delle piogge, ma l’africa non me la aspettavo proprio così verde e rigogliosa.

Al termine del viaggio, lungo ma davvero interessante, abbiamo raggiunto la città di Soddo, capoluogo della provincia del Wolaita, dove si trova la missione di Konto, la nostra destinazione finale.

Nel vedere la missione siamo rimasti a bocca aperta: grande, ben tenuta, organizzata, non ci aspettavamo una struttura di questo tipo. All’interno sono presenti l’Abba Pascal Girl’s School, la scuola femminile, ampliata di recente e frequentata da più di 800 ragazze, la scuola materna gestita dalle suore, la scuola di arti e mestieri, la zona produttiva, la casa dei frati e una bella chiesa. Ogni giorno nella missione, entrano ed escono circa 1000 persone.

Durante la nostra permanenza le scuole erano chiuse, quindi la missione era semi deserta, risultava attiva solo la zona produttiva. Abbiamo subito rotto il ghiaccio con le ragazze della squadra di calcio, che anche ad agosto frequentano la missione per gli allenamenti e da quel momento, con loro è nato un rapporto bellissimo. Con alcune, ancora oggi a distanza di mesi, ci teniamo in contatto scrivendoci periodiche lettere.

La nostra esperienza in missione può essere divisa in due periodi: il primo legato alla missione di Konto, il secondo a quella di Dubbo, situata a trentacinque chilometri di distanza.

Nel primo periodo, oltre ad eseguire qualche attività di manutenzione all’interno della missione, abbiamo avuto la possibilità di visitare diverse missioni della zona, riuscendo così a farci un’idea piuttosto chiara del contesto in cui ci muovevamo. Konto è nella provincia del Wolaita, ma ci siamo spinti fino alle missioni delle provincie adiacenti, cioè Hadija, Kambatta e Dawro-Konta, quest’ultima al di là del fiume Omo, una zona selvaggia e bellissima.

Visitare le missioni, ci ha fatto capire quanto queste siano importanti per la gente. Missione significa cibo, acqua pulita, scuola e assistenza sanitaria. Non a caso quasi ovunque, nel tempo, accanto alle missioni sono sorti paesi e villaggi. Vivere nelle vicinanze di una missione significa a volte, la differenza fra il vivere e il morire. Non oso pensare a come potrebbe essere questo paese, senza la presenza delle missioni.

Ho visto tante cose che mi hanno colpito, ma sono rimasto particolarmente impressionato dai bambini denutriti, presenti in un padiglione del piccolo ospedale della missione di Taza. Facendo volontariato pro missioni da diversi anni, ero informato di queste situazioni, ma quando me li sono trovati di fronte, sono rimasto davvero senza parole, letteralmente impietrito. Ho provato dolore e commozione, quando mi sono trovato a tu per tu con uno di loro, che mi fissava, con il volto inespressivo, le gambe gonfie, senza la forza di compiere il benché minimo movimento.

Abbiamo conosciuto tanti missionari, frati e suore, di uno spessore morale fuori della norma. Guidati dall’amore per il prossimo e da una grande determinazione, sono riusciti a fare l’impossibile, a cambiare la vita di tanta gente. Ascoltare i racconti delle loro vite dedicate agli altri, è stato bellissimo, saremmo rimasti ad ascoltarli per ore. Se in Africa negli ultimi quaranta anni molte cose sono cambiate, è certamente per gran parte merito loro. Spesso, durante le mie giornate, ripenso a queste persone stupende, alla loro semplicità e umiltà, e penso che loro debbano essere il mio esempio, l’esempio che deve guidarmi anche quando sono qui nel mio paese, in una società difficile, corrotta, in cui la morale è un bene in estinzione, in cui conta solo l’apparire e non l’essere.

Il secondo periodo è nato per una casualità. Con fra Maurizio, esperto manutentore della missione di Konto, ci siamo recati all’ospedale di Dubbo per risolvere un problema a un pozzo. Avendo sistemato velocemente il guasto, fra Maurizio ci ha proposto di visitare l’orfanotrofio della missione, gestito dalle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Quella visita inaspettata, cui non eravamo preparati, ci ha colpito profondamente. Credo che la tempesta emotiva che ci ha colpito, al contatto con quei bambini abbandonati, sia stata dovuta al fatto che nel 2003 abbiamo perso nostra figlia, dopo soli due giorni di vita.

Non dimenticherò mai, perché è stato un momento davvero unico, quando, appena entrato nell’orfanotrofio, mentre salutavo i bimbi presenti, una di loro che era seduta davanti a me, si è girata, mi ha guardato con un viso sorridente ma velato di tristezza, e mi ha fatto segno con le braccia di prenderla in braccio. Per tutta la durata della visita, è rimasta accoccolata fra le mie braccia, aveva bisogno d’amore, voleva darmi il suo amore. Quella bimba, di nome Burtukan, in quel momento mi aveva scelto come papà, come avrei poi constatato nei giorni successivi.

Rientrati a Konto, emotivamente sconvolti dall’esperienza vissuta, mia moglie ed io ci siamo guardati negli occhi, e abbiamo capito che era in quell’orfanotrofio che volevamo continuare la nostra esperienza. Grazie all’interessamento di fra Aklilu, e alla disponibilità di Sister Maria Regina, la responsabile della missione di Dubbo, è stato facile organizzare il tutto: ogni mattina un autista della missione di Konto ci portava a Dubbo, e ogni sera un autista della missione di Dubbo ci riportava a Konto. Così, per il restante periodo, abbiamo passato il nostro tempo con i bimbi abbandonati dell’orfanotrofio di Dubbo.

Un’esperienza bellissima quella vissuta con i bimbi, che mai mi sarei aspettato di vivere, che mi ha dato moltissimo. Passavamo la giornata giocando con i più grandicelli, o accudendo i più piccoli. L’età degli ospiti dell’orfanotrofio andava dai quindici giorni del neonato più piccolo ai dodici anni del bimbo più grande. Giocare con i più grandicelli era bellissimo, coinvolgente, ma anche molto faticoso, così, per rifiatare, ogni tanto ci prendevamo una pausa per accudire i piccolini, attività decisamente meno faticosa, ma altrettanto bella e coinvolgente.

Grande soddisfazione è stata per noi vedere che tutti i bambini, uno dopo l’altro e ognuno con i suoi tempi, si sono avvicinati a noi, anche i più introversi, quelli che probabilmente soffrivano di più il loro stato di abbandono, il che vuol dire che abbiamo speso bene il nostro tempo con loro. Con alcuni, e in particolare con Burtukan, il rapporto è stato bellissimo, era come se fossero figli nostri. Da questi bambini abbiamo avuto tanto, ci hanno fatto provare sensazioni mai provate prima, ci hanno fatto sentire un papà e una mamma. Bellissimo è stato anche il rapporto nato con Sister Francisca e Birkinesh, le direttrici del centro, e con Sister Regina, la responsabile della missione. Momenti indimenticabili, che rimarranno per sempre nei nostri cuori.

Purtroppo, come sempre avviene, è arrivato il giorno di tornare a casa. È stato difficile staccarsi da quei bambini, è stato difficile staccarsi dall’Etiopia, è stato difficile tornare alla vita di tutti i giorni. Di questa esperienza, ho scritto solo le cose principali, quelle che mi hanno colpito maggiormente, ma ne avrei tante altre da scrivere, potrei scrivere un libro. I bambini di Dubbo, le ragazze di Konto, il sorriso e la disponibilità della gente, li portiamo dentro di noi, non potremo mai dimenticarli, così come il ricordo di una bimba, Burtukan, che abbiamo amato, che ci ha dato tanto amore, che non rivedremo più.

Sono passati mesi dal nostro ritorno, ma sembra di essere tornati ieri. Vogliamo tornare laggiù, e riabbracciare le persone con cui è nato un rapporto vero, basato sul reciproco rispetto. Quest’esperienza ci ha cambiato molto, ci ha fatto crescere, ed è stato difficile rientrare nella nostra società dopo un mese. Al rientro in Italia, mi sono trovato a disagio, questo mondo non è il mio mondo, i miei valori sono altri, e li ho trovati laggiù, in mezzo a quella povera gente, ma devo vivere qua, e devo farlo al meglio possibile, cercando di far capire alle persone con cui sono a contatto giornaliero, che si può vivere in un modo diverso, con maggior sobrietà, con valori diversi, perché la felicità non dipende da ciò che si possiede, ma da ciò che si è.

Continuiamo nella nostra opera di volontariato, con una spinta interiore ancora maggiore, con la volontà di fare tutto quanto è nelle nostre possibilità, per aiutare coloro che prima di questa esperienza erano per noi i “poveri dell’africa”, e ora sono diventati i nostri “fratelli africani”. Grazie Susanna, grazie Tesfanesh, grazie Matesala, grazie Burtukan, grazie a tutti voi fratelli e sorelle etiopi, vi vogliamo bene!"

Guarda il video con le più belle immagini dell'esperienza di volontariato che Enrico e Tiziana hanno vissuto nelle missioni di Konto e Dubbo in Etiopia:

    

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