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Quelle t-shirt made in Africa
La Cina si sta sviluppando. Aumentano i redditi. E per le multinazionali occidentali comincia a costare troppo produrre lì.
Meglio delocalizzare. Ancora più a Sud.
Il colosso svedese dell’abbigliamento H&M sta testando l’Etiopia come nuova frontiera per la produzione di abbigliamento low cost.
Infatti, al momento, è più conveniente produrre abiti in Etiopia che in Cina.
H&M non è la prima a guardare l’Africa in sostituzione della Cina e dell’Asia. Il colosso spagnolo dell’abbigliamento Zara da tempo produce in Nord Africa (Marocco e Tunisia).
Ma l’Etiopia non è l’ultima arrivata nell’industria del tessile e dell’abbigliamento. Grazie al cotone, soprattutto. I primi ad avviare delle fabbriche furono gli italiani, durante l’occupazione fascista nel 1939. Ora le cose sono un po’ mutate. H&M assicura che stanno costruendo stabilimenti con macchinari moderni. Ha aperto il suo ufficio ad Addis Abeba un anno fa e ora sta selezionando i fornitori locali.
Lo sviluppo dell’industria è uno degli obiettivi delle politiche del governo di Addis Abeba per trasformare un’economia ancora basata sull’agricoltura.
Gli svedesi di H&M non sono gli unici ad essersi accorti dell’Etiopia, nuova frontiera delle t-shirt a basso costo. Stanno arrivando i turchi, gli indiani e anche i cinesi perché conviene: il lavoro costa poco e la gente lavora sodo.
Purtroppo però la ricchezza è appannaggio delle società occidentali.
Ai produttori etiopi restano solo le briciole della ricchezza che creano.
Altre contraddizioni della globalizzazione.
(da Economia in bianco e nero- Nigrizia- Riccardo Barlaam/giornalista del Sole 24ore)