Italia
Sperare
Adesso la speranza la vendono per poco. E’ crollata la fiducia nelle statistiche e nelle proiezioni che assicuravano la fine della crisi, la cosiddetta “ripresa” che dovrebbe chiudere come una parentesi da dimenticare anni di difficoltà e autorizzare a spendere e a spandere “come prima” alla faccia dei poveri. Perciò adesso si dice: “speriamo”.
Le promesse della scienza che assicurava di trovare un vaccino per tutto e di garantire una vita lunga e felice si sono rivelate piuttosto problematiche e a proposito della scienza si comincia a dubitare che sia tutto bene quello che riesce a fare e disfare. Perciò i malati dicono: “speriamo”
I discorsi dei politici sono venuti a noia a molti e quasi non si ascoltano più i progetti per rendere più sopportabili le cose, mentre si vive ingarbugliati in complicazioni irritanti. Perciò la gente dice (o piuttosto sospira): “speriamo”.
La speranza si vende a poco, è una maniera vaga di fidarsi della vita, un modo di dire per dare una scusa alla pazienza.
La speranza che vale, la virtù cristiana che ha sostenuto i santi e generato i martiri, non è l’ingenua aspettativa a proposito del futuro, ma la fiducia nelle promesse di Dio e nella sua salvezza. Non riguarda l’indice della borsa ma la gioia perfetta ed eterna. Non confida nella diminuzione delle tasse, ma aspetta il ritorno del Signore risorto.
E poiché si sente autorizzata a puntare così in alto, non ha paura di niente e mette mano con una sorta di slancio infaticabile all’impresa di aggiustare il mondo: non costruisce per sé un angolino tranquillo nelle tribolazioni della storia, ma si appassiona alla missione, come quel servo che vive aspettando il ritorno del Signore.
(da “Vocabolario della vita quotidiana” Mario Delpini Arcivescovo di Milano)