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Blog Forse che si forse che no




Forse che si

Forse che no



Durante una visita al palazzo Ducale di Mantova, sono stata attratta, oltre che da meraviglie incredibili per bellezza e maestosità, da questa frase scritta nel labirinto disegnato sul soffitto di una stanza del Palazzo.

Pare che il marchese Vincenzo Gonzaga tenuto prigioniero dai turchi in un labirinto, ritornato a Mantova volle riportare questa frase a ricordo della sua prigionia, quando cercando disperatamente la via di uscita dal labirinto si ripeteva con ansia “Forse che sì forse che no”.

Tempi difficili quelli del Duca di Mantova, arrovellato da preoccupazioni su come potenziare il suo casato e come salvarsi dalle invasioni dei vicini.

Ma tempi duri anche i nostri, tempi di “crisi”, un termine però ormai abusato perché diventato un ritornello.

C’è la crisi di chi davvero ha perso il lavoro, non sa come sbarcare il lunario per mantenere la famiglia, è senza casa, è malato e si trova ad affrontare gli scogli della Sanità.
La crisi di chi si impastoia nelle burocrazie più assurde. Di chi si ritrova tutti i giorni a stringere la cinghia e i denti…

E la “crisi” di chi fa lo struzzo e nasconde la testa sotto la sabbia.

Tutto ciò mi riporta alla mente il testo di un vecchio motivetto scritto nel 1933, riportato in auge tempo fa da Gigi Proietti e quanto mai attuale.

Tutte quante le nazioni si lamentano così conferenze riunioni ma si resta sempre lì "Signori c'è la crisi...ohhhh...eh la crisi". Ma cos'è questa crisi...ma cos'è questa crisi... Rinunziate all'opinione della parte del leone e chissà...che la crisi passerà!"

Un riccone avaro e vecchio dice: ahimè così non và vedo nero nello specchio chissà come finirà... "ah la crisi...mmh la crisi mmmm"
Ma cos'è questa crisi... ma cos'è questa crisi...

Cali fuori il portafogli metta in giro i grossi fogli e vedrà... che la crisi finirà!

Andate a leggere il testo di questa canzonetta: è proprio interessante!
E noi: usciremo dal labirinto delle nostre crisi?.…forse che si, forse che no...

                                                                                                                                                                        Gabriella

Blog domani hanno deciso di bombardarci




Domani hanno deciso

di bombardarci




Pubblichiamo una toccante lettera scritta dalle sorelle trappiste di Azeir, piccola comunità in Siria che vive quotidianamente il dramma della crisi in atto.

Il sangue riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore

Lettera dalle sorelle trappiste di Azeir

«Vediamo la gente intorno a noi e pensiamo: “Domani hanno deciso di bombardarci”, "Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?"»

Oggi non abbiamo parole, se non quelle dei salmi che la preghiera liturgica ci mette sulle labbra in questi giorni: «Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli… o Dio disperdi i popoli che amano la guerra…». «Il Signore dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte»… «ascolta o Dio la voce del mio lamento, dal terrore del nemico preserva la mia vita; proteggimi dalla congiura degli empi, dal tumulto dei malvagi. Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare… Si ostinano nel fare il male, si accordano per nascondere tranelli, dicono: “Chi li potrà vedere? meditano iniquità, attuano le loro trame. Un baratro è l’uomo, e il suo cuore un abisso”. Lodate il mio Dio con i timpani, cantate al Signore con cembali, elevate a lui l’accordo del salmo e della lode, esaltate e invocate il suo nome. POICHE’ IL SIGNORE E’ IL DIO CHE STRONCA LE GUERRE. “Signore, grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza e invincibile”».

Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l’impotenza, l’incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati “interni” alla Siria, arrivati da tutte le parti nell’unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per “sentirsi insieme”… E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché “è ora di fare qualcosa”, così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l’efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?

La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace, farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?

Parla il Papa, parlano Patriarchi e vescovi, parlano innumerevoli testimoni, parlano analisti e persone di esperienza, parlano persino gli oppositori del regime… E tutti noi stiamo qui, aspettando una sola parola del grande Obama? E se non fosse lui, sarebbe un altro, non è questo il problema. Non si tratta di lui, non è lui “il grande”, ma il Maligno che in questi tempi si sta dando veramente da fare.
Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c’è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.

C’è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore. 

Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo… Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue. 

Noi, come cristiani, possiamo almeno offrirlo alla misericordia di Dio, unirlo al sangue di Cristo che in tutti coloro che soffrono porta a compimento la redenzione del mondo. Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze. A chi ha un vero amore per la Siria (per l’uomo, per la verità…) chiediamo tanta preghiera… tanta, accorata, coraggiosa…

Veglia per la pace





Veglia per la pace




«Vorrei chiedere al Signore che ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza non è mai la via della pace!»

«Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità». Papa Francesco ha il volto serio, teso. Ha guidato la prima parte della veglia penitenziale, ha accolto e venerato l'icona della Salus Populi Romani, ha recitato il rosario e prima di iniziare la lunga adorazione eucaristica tiene una meditazione. Davanti a lui, in una piazza San Pietro ormai all'imbrunire, ci sono alcuni ambasciatori, i delegati di altre religioni, politici e uomini delle istituzioni, ma soprattutto tanti semplici fedeli, circa 100mila.

Lo spunto per l'omelia papale è il racconto biblico della Genesi, della creazione: «Dio vide che era cosa buona». Parole, spiega Francesco, dalle quali si comprende che «questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace”» e che «gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole».  Un mondo in cui «ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro». «Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero?».

Ma il mondo in cui viviamo ci sono anche «la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra». E questo avviene «quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà, si chiude nel proprio egoismo. Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto».

Anche a noi, dice il Papa, è rivolta la domanda che Dio rivolge a Caino dopo il primo omicidio della storia: «Dov’è Abele tuo fratello?». «È rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere».

«Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi - afferma Francesco - continuiamo questa storia di scontro tra fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!».

Il no alla guerra, all'intervento armato dalle incalcolabili conseguenze in Siria, ma anche il no all'indifferenza, al voltare lo sguardo dall'altra parte, è evidentemente sottointeso da queste drammatiche parole. «È possibile percorrere un’altra strada?», si domanda il Papa. «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!».

Poi Francesco parla della croce. «Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani, i fratelli delle altre religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace!».

Francesco chiede ad ognuno di «guardare nel profondo della propria coscienza» e ascoltare «quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello... penso soltanto ai bambini... e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro!».

«Finisca il rumore delle armi!  - ha detto Papa Bergoglio - La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: "Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!". "La pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità"».

«Perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo - ha concluso - per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace».

                                                                                                                                                                              (tratto da La Stampa)

Si alza un grido di pace





Si alza un grido di pace




«Mai più guerra». Papa Francesco all'Angelus fa un appello sulla situazione in Siria

«La comunità internazionale agisca sulla base del dialogo» «Il grido della pace - ha detto - si levi alto perché tutti ripongano le armi , per questo ho deciso di indire per tutta la Chiesa il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria regina, una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero».

«L'umanità - ha aggiunto il Papa - ha bisogno di vedere gesti di pace».

«Non è mai l'uso della violenza che porta la pace: la guerra chiama guerra, la violenza chiama violenza»

Papa Francesco ha anche inviato tutti a riflettere sulla certezza che c’è un giudizio di Dio e della Storia a cui non si può sfuggire.

Era scuro e serio il volto del papa, all’Angelus. I venti di guerra e le tribolazioni di questi popoli sempre tanto martoriati gridano con forza al mondo intero la loro disperazione.

Noi tutti vogliamo un mondo di pace.

Non c’è colore che distingua religioni e popoli: tutti siamo accomunati da questo desiderio.

Partecipiamo alla giornata di digiuno per rafforzare la nostra volontà e per testimoniare quanto ci stia a cuore la sorte di tutti i popoli in guerra e di tutti i cristiani perseguitati a causa della loro religione.

Il 7 settembre in Piazza San Pietro - ha proseguito il Papa - dalle ore 19 alle ore 24, ci riuniremo in preghiera in spirito di penitenza per invocare da Dio questo grande dono

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