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Non abbiate paura della solidarietà





Nella chiesa ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è "SOLIDARIETA".

Papà Francesco lo sottolinea, nell’omelia per la celebrazione del Corpus Domini, esortando a “saper mettere a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione e nel dono la nostra vita sarà feconda e porterà frutto”.

Purtroppo, osserva il Papa, “solidarietà è una parola malvista dallo spirito mondano”.

Papa Francesco spiega che “quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza” in quanto “la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla” e indica tre parole: "sequela", "comunione" e "condivisione".

Ci invita a pregare perché la partecipazione all’Eucarestia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione e a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo.

Riferendosi specificatamente alla solennità del Corpus Domini, il Papa spiega che “questa sera ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, si fa dono. E anche noi sperimentiamo la solidarietà di Dio con l’uomo"; una solidarietà – ricorda – "che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci, si fa cibo: il vero cibo che sostiene la nostra vita, anche nei momenti in cui la strada si fa dura e gli ostacoli rallentano i nostri passi".

Grazie Papa Francesco per ricordarci continuamente che il povero:

“non è un fardello, ma mio fratello”

La gratitudine


La gratitudine





Grande lezione da sister Maria Regina. Il suo breve intervento sulla gratitudine ha fatto molto riflettere.

Partendo dall’episodio evangelico dei dieci lebbrosi guariti da Gesù, con molta semplicità ci ha ricordato che solo uno ritornò a ringraziare per il grande dono ottenuto. E gli altri nove? Felici, confusi da un incontro così fortunato per la loro vita e ingrati.

Amici: lo spendiamo un “grazie” nella nostra vita?

Insegniamo ai nostri figli e nipoti la magica parolina?

Che bella cosa guardare negli occhi il nostro prossimo con un sorriso e pronunciare un bel “grazie”.

Che bello fare un cenno di gratitudine a chi ti fa passare sulle strisce pedonali, a chi ti cede il posto in fila, a chi ti dice una parola gentile, a chi ti presta attenzione, all’impiegato dello sportello delle poste, della banca, dell’ufficio comunale...

Non siamo sempre obbligati, a volte è un “servizio in più” ma volete mettere che soddisfazione?

Provate: vi renderete conto che nessuno è più abituato a questo gesto basilare di educazione e ci guarda un po’ stupito, si interroga su che cosa ha fatto di straordinario per meritare un ringraziamento.

Certo se poi ampliamo un po’ il discorso ci viene in mente che diciamo raramente “grazie” per esserci svegliati e alzati dal letto anche oggi , per avere cibo sulla tavola, per avere una casa e una famiglia.

La sister ci ha fatto sorridere parlando della nostra crisi occidentale: è vero c’è la crisi ma noi abbiamo tutto quello che in Africa non c’è proprio! Ricordiamocelo, ed esprimiamo la nostra gratitudine verso Chi ci permette di continuare la nostra vita, con più o meno difficoltà, ma pur sempre in modo dignitoso.

Sister Maria Regina lei intendeva essere grata a noi che cerchiamo di portare aiuto ai fratelli dell’Africa nel modo migliore possibile… invece GRAZIE a lei per averci ricordato questo sentimento importante.



Immut e Melkamuj


Un anno fa, sempre in occasione di una visita straordinaria di sister Maria Regina, il gruppo di sostenitori e volontari della nostra Associazione adottava questi due bimbi a Dubbo.

Anche quest’anno il rinnovo dell’adozione è scaturito dalla serata con la Sister.

E’ ferma volontà da parte nostra non abbandonarli. Senza cure mediche, sostegno e istruzione la loro sorte sarebbe segnata: continueremo fermamente a seguirli per accompagnarli in una vita migliore.

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Cancelliamo le feste...



Cancelliamo le feste

per non ferire nessuno?



Il 19 marzo ho assistito ad una levata di scudi contro la festa del papà accusata di urtare la sensibilità di chi un papà non ce l’ha.

Stessa cosa per la festa della mamma…

Non siamo più capaci di insegnare ai nostri figli che nella vita le cose non vanno tutte come dovrebbero perché ci siamo convinti che tenerli lontani dal dolore li faccia crescere più sereni.

Invece è imparando a rialzarsi che si impara a non cadere…

E invece via la festa dei nonni, perché non soffra chi non li ha più, via la mamma, via il papà, via il crocifisso, via tutto così non si ferisce nessuno.

Con la scusa della sensibilità altrui, priviamo i nostri bambini della vita vera, rinunciamo a insegnare loro il valore autentico del rispetto dell’altro, del diverso.

Inventiamo appellativi per mascherare disagi di cui non vogliamo farci carico: i diversamente abili (per cui non creiamo servizi) le persone di colore (ma perché, non abbiamo un colore anche noi bianchi?) i migranti (che sfruttiamo).

Perché non diciamo ai nostri bambini che al mondo ci sono orfani di madre, di padre, di fratelli e di figli, i musulmani, i neri, i gay, i diversamente abili e che tutti avremmo qualcosa da festeggiare se solo imparassimo ad accoglierci?

Perché non inventiamo una festa al giorno perché ciascuno di noi abbia il suo momento di gloria?

Perché a scuola le maestre non propongono ad ognuno un lavoretto per festeggiare qualcuno a cui vogliamo bene? Quello ce l’hanno tutti.

Ai nostri figli dovremmo insegnare a camminare sui pezzi di vetro. Perché se si rompe la campana di cristallo sotto cui li abbiamo messi, rischiano di farsi male davvero.

(Laura Morali, pediatra, da Vanity Fair)

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