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8 marzo

 



Il nostro orgoglio

 

 

 

 

Parlare bene dell’Italia non è facile: per le ragioni che ogni italiano conosce da quando è nato e che fanno si che abitualmente nel nostro Paese siamo assai più pronti a deprecare i difetti che a cantare le lodi. Nella sostanza, infatti, gli italiani sono uno dei popoli meno nazionalisti che ci siano.

Una lunga storia ci ha obbligato a prendere atto della forza degli stereotipi negativi che circolano nel mondo sul nostro conto. Ai quali reagiamo, c’indigniamo, ma tutto finisce li. Siamo abituati ad essere stigmatizzati, anche perché spesso siamo noi i primi a farlo a danno di noi stessi.

L’epidemia di coronavirus è valsa a confermare l’immagine negativa che il mondo ha di noi. In più casi siamo stati additati come trampolino decisivo del contagio proveniente dalla Cina (mentre è ora sempre più chiaro, invece, che il virus ha subito preso a circolare inavvertito in molti luoghi del mondo).

Ma è proprio in circostanze come queste, quando le cose ci vanno male e anche l’ostilità del mondo sembra che non ci risparmi che in molti di noi scatta un sentimento d’identificazione con il nostro Paese fino a quel momento nascosto.

Patriottismo è una parola grande e impegnativa. E’ qualcosa di diverso. E’ un sentimento oscuro di appartenere ad una medesima storia la quale anche a dispetto della nostra volontà ci tiene insieme. E’ il sentimento insomma che oggi abbiamo di dividere una sorte comune. Non perché siamo diventati misteriosamente diversi da come eravamo prima dell’epidemia, ma perchè il pericolo che oggi ci avvolge tutti fa venir fuori una parte profonda di noi che in precedenza non si faceva sentire.

Nasce dentro di noi un pensiero diverso, un sentimento di orgoglio che non pensavamo di avere.

Non è tanto facile ammazzare l’Italia, ci dice quel sentimento. Non è mai stato facile. L’Italia da duemilacinquecento anni riesce a stare sul palcoscenico della storia. Per il suo “genio” l’Italia ha sempre avuto  qualcosa da da dire o da dare. E continua ancora oggi. Ancora oggi siamo fra i primissimi in Europa a produrre ogni genere di macchine e strumenti. Così come negli studi, nella ricerca, nelle scienze non sono poche le conoscenze che portano un nome italiano e voci, immagini, scritture, musiche che recano in se’ qualcosa dell’Italia.

Questo pensiamo mentre con non comune sincerità il nostro governo ci informa ogni giorno del male che cresce e che ci insidia e di come combatterlo.

Ormai sappiamo che  il colpo che ne avremo sarà duro. Ma se la storia ci dice qualcosa, ci dice che resisteremo. Che potremo anche cadere, forse. Ma che dopo di sicuro ci rialzeremo.

                       (tratto da “Corriere della sera” 8 marzo 2020-  Ernesto Galli della Loggia)

8 marzo

8 marzo



Festa della donna

 

 


Per meglio riflettere sulla festa della donna che, ogni anno, pone all’attenzione di tutti la condizione femminile nel mondo, ripercorriamo alcuni passaggi del messaggio di Papa Francesco in occasione della Solennità di Maria.
Esaltando il suo ruolo di donna e Madre di Gesù, ha sottolineato l’importanza che ogni donna dovrebbe avere nello sviluppo di una società più umana e inclusiva, chiedendo maggiore rispetto per tutte le donne.
“Da una donna è sorta la salvezza e, dunque, non c’è salvezza senza la donna. 
È Maria, una donna, che ha tessuto l’umanità di Dio, e se vogliamo tessere di umanità le trame dei nostri giorni, dobbiamo ripartire proprio dalla donna. Le donne sono fonti di vita e ogni violenza inferta alla dignità della donna è una profanazione di Dio. Oggi persino la maternità viene umiliata: ci sono madri che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare al frutto del grembo un futuro migliore. Ella racchiude in sé il fine del creato stesso: la generazione e la custodia della vita, la comunione con tutto, il prendersi cura di tutto".

                                 (A. Nascosto)

 

Scarpette rosse

 

Miniera di diamanti

 

 

 

'L’Italia è come un signore che sa di avere sotto il suo campo una miniera di diamanti ma preferisce coltivarci sopra patate e costruirci capannoni'.
                                                                                                         Jack Lang

E’ difficile smentire questa considerazione dell’ex ministro francese della Cultura Lack Lang.
Il patrimonio culturale che i nostri padri ci hanno lasciato è sterminato. Purtroppo, però, soprattutto in epoca recente, essi hanno avuto come eredi dei veri e propri stupidi o barbari che hanno cominciato allegramente a sfregiare quel lascito, a coprirlo di capannoni e orridi edifici, a calpestarlo con disprezzo.
Ormai questo lamento sulla devastazione ambientale e monumentale, spesso persino avallata da leggi insensate, è diventato un luogo comune che talora è bollato come maniacale.
E’ così che si abbassa progressivamente lo stile di vita, che si trovano giustificazioni per gli scempi edilizi o per gli orridi graffiti urbani, che ci si disinteressa di arte e musei a partire già dalla scuola protesa solo su Internet e sull’inglese.
La corruzione non è solo una questione di etica ma anche di estetica: il Nobel messicano Octavio Paz (1990) affermava che un popolo comincia a guastarsi quando corrompe la sua grammatica e il suo linguaggio. Banalità, volgarità, stupidità che ci assediano sono il segno della perdita non solo del senso del bene ma anche del bello.
La bruttezza delle città e delle cose genera anche brutture e brutalità morali.
La degenerazione nello stile di comportamento trascina con sé un calo dei valori e della dignità umana.
Per questo è necessario riscoprire i veri diamanti della cultura, della spiritualità, della bellezza.

                                                     (da “Le parole e i giorni” di Gianfranco Ravasi)

Leggere e saper scrivere

 

Leggere e saper scrivere

vanno sempre a braccetto

 

 

Leggo senza tanto stupore che i giovani non sanno più scrivere e quei pochi che ancora lo fanno commettono imperdonabili errori di ortografia. E di che dovremmo stupirci? Siamo anche tra quelli che leggono meno al mondo. Un recente sondaggio ha evidenziato che il 60% dei ragazzi di età compresa tra i  12 e i 19 anni non legge neanche un libro nel'arco di un anno. Certo, Gianni Rodari aveva ragione a dire che il verbo leggere è l'unico con non conosca il modo imperativo, quindi nessuno si deve sentire obbligato alla lettura, ma il piacere di avvicinarci e perderci in un libro lo abbiamo smarrito da un pezzo. Non lamentiamoci se i nostri figli non leggono mai, quando non ci vedono mai leggere. Non lamentiamoci se non rimangono affascinati dalle fiabe, dalle storie, se noi stessi non dedichiamo una parte del nostro tempo a leggere con loro, magari ad alta voce. Mi è capitato di andare per musei e per biblioteche e di vedere intere sale dedicate ai bambini e ai ragazzi, sale stra affollate. Soprattutto all'estero. In Italia esistono fior di strutture ma sono pressoché deserte. Limitare l'uso dello smartphone o dei social ai nostri figli sarebbe anacronistico e del tutto inutile. Ma imporre, sì imporre, almeno una volta o due alla settimana una discussione allargata in famiglia sulla lettura di un quotidiano, di un libro, di una poesia è il modo migliore per aiutare i nostri figli a leggere. Uso il verbo forte, imporre, non a caso: l'educazione a qualsiasi attività nasce quasi sempre da una imposizione. Non ci dobbiamo scandalizzare per questo. Il gusto, il piacere subentrerà solo dopo avere avuto una dimestichezza, una pratica con ciò che si affronta. Ricordo che alle scuole medie avevo una vecchia insegnante di lettere che aveva imposto nelle ultime due ore di sabato la lettura a voce alta dell'Odissea. All'inizio tutti l'abbiamo vissuta come una odiosa imposizione; poi le avventure di Ulisse hanno avuto la meglio e non vedevamo l'ora che arrivasse il sabato per buttarci anche noi tra le onde del mare con lui.

Un'altra raccomandazione, e lo dico da ex insegnante: prima di iscrivere i nostri ragazzi alla scuola di inglese sinceriamoci che sappiano almeno parlare e scrivere correttamente in italiano. Mi pare il minimo sindacale.

Alla prossima!

                                 (A. Signorini)

Scarpette rosse

 


Scarpette rosse

 

 


"C’è un paio di scarpette"


C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”.

C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald.

Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi di ciocche nere e castane a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati. Non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni, forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni, ma il suo pianto lo possiamo immaginare, si sa come piangono i bambini.

Anche i suoi piedini li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald, quasi nuove, perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole…

~ Joyce Lussu ~


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