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Il diritto alla felicità


 

  

Ottobre Missionario 2018

  

 

 

 

 

   

Come ogni anno il mese di ottobre è il “mese missionario”, dedicato in modo particolare alla preghiera ed alla riflessione sul tema della missionarietà della Chiesa. E come ogni anno il Papa scrive un messaggio che dà il titolo e l’orientamento per la giornata mondiale delle missioni che ricorre in questo mese. In modo particolare quest’anno, in vista del Sinodo sui “giovani, la fede, il discernimento vocazionale”, la lettera è rivolta soprattutto ai giovani, e il titolo è "Insieme ai giovani portiamo il Vangelo a tutti".

Ecco l’incipit della lettera.

Cari giovani, insieme a voi desidero riflettere sulla missione che Gesù ci ha affidato. Rivolgendomi a voi intendo includere tutti i cristiani, che vivono nella Chiesa l’avventura della loro esistenza come figli di Dio. Ciò che mi spinge a parlare a tutti, dialogando con voi, è la certezza che la fede cristiana resta sempre giovane quando si apre alla missione che Cristo ci consegna . L’occasione del Sinodo che celebreremo a Roma in ottobre mese missionario, ci offre l’opportunità di comprendere meglio, alla luce della fede, ciò che il Signore Gesù vuole dire ai giovani e, attraverso di voi, alle comunità cristiane. Ogni uomo e donna è una missione, e questa è la ragione per cui si trova a vivere sulla terra. Essere attratti ed essere inviati sono i due movimenti che il nostro cuore, soprattutto quando è in giovane età, sente come forze interiori dell’amore che promettono futuro e spingono in avanti la nostra esistenza. Nessuno come i giovani sente quanto la vita irrompa ed attragga. Vivere con gioia la propria responsabilità per il mondo è una grande sfida”.

                                                       (da “Missionari Cappuccini” luglio-settembre 2018)

Il diritto alla felicità


  

Il diritto alla felicità

e il senso della vita

  

 

   

"Qui le persone sono così felici che nemmeno amano sono realizzate non hanno bisognol’uno dell’altro nemmeno di Dio la mattina si siedono davanti alle loro case inondate di luce e fino a sera aspettano la morte…".  (Agota Kristof)

La felicità sta nelle piccole cose, sta nelle cose medie, in quelle grandi, in quelle grandissime, oppure nelle astrazioni? La felicità è cosa strettamente individuale oppure esiste un’aspirazione alla felicità collettiva? La felicità è nel primo caffè (con sigaretta, per i viziosi e non salutisticamente corretti) della mattina, in una giornata di sole, un sorriso, l’incontro con una persona che ci sta simpatica, l’amore, il sesso, una vincita al superenalotto, una promozione sul lavoro (un lavoro! Anche a tempo!) oppure la felicità è la pace nel mondo, il realizzarsi di un sogno o bisogno che è sociale, dunque, se non di tutti, almeno di molti? La felicità, oggi, qui, mi pare che spesso coincida con queste tre condizioni: essere belli, ricchi e famosi (per cosa, poco importa). Nell’era dei selfie e del narcisismo collettivo più che altro, conta che gli altri ci vedano così, ci guardino e pensino: è bello (o bella) ricco e famoso, e in quello sguardo esterno che ci ammira e ci invidia troviamo ciò che ci sfugge in noi stessi e di noi stessi, come se appunto, l’importante, non fosse tanto l’esserlo, felici, ma il sembrarlo.
Eppure la vita, per essere interessante e degna, non deve per forza essere felice. La felicità accade, come un arcobaleno dopo un temporale e così come rapidamente dal nulla accade, così sparisce, ci lascia e ne resta soltanto il ricordo. Ce ne sarà un’altra? Può darsi, ma importa? Quando penso ai bambini, ai ragazzi e vedo come si cerchi di tenerli al riparo da tutte le minime frustrazioni, le piccole infelicità, le sconfitte, penso che forse non tutti i torti avevano le generazioni dei nonni e dei bisnonni che i figli li educavano anche al sacrificio, alla rinuncia, nell’idea che la vita, più che felice dovrebbe essere dignitosa e sensata, trascorsa avendo in mente uno scopo e perseguendolo con quella meschina, immensa qualità che è l’ostinazione.

"Nell’antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale".  (Zigmunt Baumann)

Diseguaglianza sociale


  

La favola del colibri

 

  

 

Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all'avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà. Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l'incendio stava per arrivare anche lì. Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d'acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento. Il colibrì, però, non si perse d'animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d'acqua che lasciava cadere sulle fiamme. La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: "Cosa stai facendo?". L'uccellino gli rispose: "Cerco di spegnere l'incendio!".  Il leone si mise a ridere: "Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?" e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l'uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un'altra goccia d'acqua. A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco. Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d'acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme. Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d'animale si prodigarono insieme per spegnere l'incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume. Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell'antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell'aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco. A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l'arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l'incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco. Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: "Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d'acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D'ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo".

Svogliati


  

Svogliati

 

  

 

  

 

"Decise di cambiar vita, di approfittare delle ore del mattino. Si levò alle 6, si vestì, gustò la colazione, fumò un paio di sigarette, si mise al tavolo di lavoro e si svegliò a mezzogiorno".
                                                        (Ennio Flaiano)

Tornati dalle vacanze, ove l’incubo della sveglia mattutina era esorcizzato, ci si ritrova di fronte ai ritmi feriali e lavorativi. Bisogna riconoscere che, se ogni lingua è specchio della vita di un popolo, quella italiana ci relega tra i cultori non entusiasti del lavoro. Provo, ad esempio, a controllare sul dizionario dei Sinonimi e Contrari la voce “attività” e trovo dieci vocaboli analoghi, passo a “pigrizia” e vedo elencati quindici sinonimi.
Oggi, un po’ provocatoriamente parlerò del “lazzarone”. A irridere questo personaggio equamente distribuito in tutte le classi sociali e in tutte le professioni è quel caustico scrittore che è stato Ennio Flaiano.
Spesso sento genitori definire amabilmente i loro figli come “svogliati” quasi fosse solo un piccolo neo che presto sarà risolto.
In realtà, la tolleranza nei confronti di una simile apatia può condurre verso il baratro dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza che si apre purtroppo davanti a tanti giovani. E’ un sonnecchiare dell’anima che non prova più gusto per nulla. E non dimentichiamo che, come diceva la filosofa Hannah Arendt, spesso il male è banale.
                                                       (da “Le parole del mattino” di Gianfranco Ravasi)

Diseguaglianza sociale


  

Quel mio piccolo male...

  

 

Quel Mio Piccolo Male (di Cittadino e di Cattolico) Che Diventa Mostro (e allora i muri, l'Aquarius e i pianti dei bimbi nelle gabbie in Texas)
Luoghi e piccoli volti, lontani e diversi tra loro - bambini ispanici in Texas, bambini africani nel mar Mediterraneo - stesse le dinamiche, la propaganda, gli slogan e poi gli imperativi: fermare  l'invasione, il migrante, il diverso, eppoi l'azione, i porti chiusi per l'Aquarius, i centri di detenzione per i piccoli che vengono catturati e separati dai loro genitori mentre tentano la sorte provando ad entrare illegalmente dal Messico.
Volti di bambini gia' adulti, segnati dalle fatiche e dalle sofferenze: immagini non certo nuove, si dira': ci giungono puntualmente ed ossessivamente dall'Africa, dal Medio Oriente, dai tanti luoghi delle povertà e delle guerre, ma tant'è, sono luoghi lontani,e noi "siamo e ci facciamo decentrati".
La novita' dei tempi e' che non possiamo piu' decentrarci, troppo vicino è nostro il Mediterraneo, culla delle civilta', troppa vicina è "nostra" l'America, il nostro "futuro".
Gia', l'Occidente, l'America e l'Europa, l'Europa centro del Mondo, forse o non piu', con le sue culture, le sue identita', il Cristianesimo, l'ebraismo ma anche l'Islam, l'illuminismo, eppoi le scoperte scientifiche, la medicina, Freud, i vaccini, e Mozart, Goethe, Alighieri, Michelangelo, la bellezza, l'arte, il bene, ma anche il male e l'orrore, le guerre, Auschwitz.
E' il passato, vero, ma l'orrore ed il male non sono spariti, nonostante l'Europa da piu' di 70 anni non abbia piu' avuto guerre, anzi, anzi a meta' perche' il suo ruolo pacificatore nello scenario mondiale dovrebbe essere piu' forte, ma tanti all'Europa vogliono male, perché realmente potrebbe essere bella e scomoda.
Ed allora il male, sempre quello, che si incarna in chi costruisce muri, chiude i porti a poveri disperati, costruisce gabbie dove ammassare bimbi ispanici, come animali nello zoo.
"Il male e' dove manca il bene" dice Papa Francesco, aggiungendo, ed io gli credo perche' so' che e' vero, che non ha pero' l'ultima parola, "solo la luce puo' vincere l'oscurita' " diceva Martin Luther King.
Ed allora, mi dico, da cittadino e da credente, che forse la luce tante volte non l'ho portata, e che anzi, anch'io tante volte nelle tenebre mi son nascosto, per rifugiarmi, per paura, e che sale della terra, anche qui, non lo sono diventato in tante situazioni, rimanendo tiepido e silente.
Ed allora mi dico che son anch'io complice del male: quando non denuncio, quando pago in nero, quando non mi espongo, quando nelle relazioni non rinuncio a qualcosa di mio per accogliere l'altro, quando sono vanitoso ed egoista ed esoso, quando mi appiattisco nella routine e nelle comodità del "si e' sempre fatto così", quando non guardo su' verso il cielo.
I miei "piccoli mali" hanno generato mostri.

                                                                     Giuseppe Luca Mantegazza

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