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La Befana

 

La Befana




In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato, dopo averla conosciuta meglio, si ritirava immediatamente. Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta. Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del sei gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa. Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio. Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione. Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica. Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare. Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona. Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora centoetre anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi. Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”. E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù. Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni. È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.
                                                                       Giampaolo Perugini (Art. dal web)

Povertà

 

Povertà




La nudità non consiste solo nella necessità di un vestito per coprirsi.

La nudità consiste nella mancanza della dignità umana, che a volte abbiamo perso, di cui abbiamo ingiustamente spogliato i poveri.

Li consideriamo inutili, privi di ogni speranza di redenzione. Disponiamo di tutta una sfilza di aggettivi per qualificare i poveri. Questa è la nudità dei nostri giorni.

L’indigenza non consiste solo nella mancanza di un tetto.

Ci sono altre indigenze nella nostra intimità. Per liberarci di esse, dobbiamo far posto alla preghiera nella nostra vita. Dobbiamo pregare.

La santità non è un lusso di pochi. Non è qualcosa riservato a poche persone. Al contrario, la santità è qualcosa che compete a voi, così come compete a me. Spetta a tutti.

E’ un dovere molto semplice. In effetti, se impariamo ad amare, impariamo anche a essere santi.

Ma se vogliamo essere capaci di amare, dobbiamo pregare.

 

Madre Teresa di Calcutta

La nudità non consiste solo nella necessità di un vestito per coprirsi.

La nudità consiste nella mancanza della dignità umana, che a volte abbiamo perso, di cui abbiamo ingiustamente spogliato i poveri.

Li consideriamo inutili, privi di ogni speranza di redenzione. Disponiamo di tutta una sfilza di aggettivi per qualificare i poveri. Questa è la nudità dei nostri giorni.

L’indigenza non consiste solo nella mancanza di un tetto.

Ci sono altre indigenze nella nostra intimità. Per liberarci di esse, dobbiamo far posto alla preghiera nella nostra vita. Dobbiamo pregare.

La santità non è un lusso di pochi. Non è qualcosa riservato a poche persone. Al contrario, la santità è qualcosa che compete a voi, così come compete a me. Spetta a tutti.

E’ un dovere molto semplice. In effetti, se impariamo ad amare, impariamo anche a essere santi.

Ma se vogliamo essere capaci di amare, dobbiamo pregare.

Teresa di Calcutta

Come sarà il 2021?

 


Scuola: tempo di crescita






Il mese di settembre è per tanti ragazzi e giovani una tappa importante: ricomincia la scuola e con essa un tempo impegnativo e arricchente.

Il COVID–19 ha però condizionato in modo impressionante l’offerta formativa e permangono tuttora non poche preoccupazioni di poter svolgere con serenità un percorso educativo che, oltre a fornire contenuti e arricchire la mente, consenta di costruire relazioni significative e stimolanti, che abilitino ad affrontare con responsabilità e consapevolezza i compiti che ciascuno è chiamato ad assolvere dentro la società.

Come infatti afferma papa Francesco:

“L’istruzione è una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo”.

Molto spesso si sente parlare delle carenze del nostro sistema scolastico, nondimeno sappiamo quale ricchezza esso rappresenti, dato che tutti hanno accesso nel nostro Paese all’istruzione.

Non così avviene in tante nazioni e tra le opere che vedono impegnati missionari e missionarie in tutte le latitudini nel mondo, grande rilevanza hanno le scuole, che però in molti contesti svolgono le attività in strutture inadeguate e con carenza di materiale didattico.

In Etiopia la nostra Associazione sostiene, grazie alla generosità di tanti benefattori, le scuole primarie e superiori di Konto, Dubbo, Sura Koyo e la scuola materna di Shanto.

Continuiamo a sostenere tutti insieme le scuole delle Missioni, consapevoli che la ricompensa più grande è la crescita umana e spirituale delle nuove generazioni.

Grazie!

I volontari de Il Seme della Speranza o.n.l.u.s.

La storia dello scemo del paese

 


La storia dello

scemo del paese







In un paesino un gruppo di persone si divertiva con un uomo noto come lo "scemo del paese", un povero cristo che viveva svolgendo piccoli lavori e di elemosina.

Ogni giorno queste persone incontrando lo “scemo” al bar si divertivano dandogli la possibilità di scegliere tra due monete da 1 e 2 euro e una banconota da 5 euro e lui puntualmente sceglieva sempre le due monete anziché la banconota, e ciò è inutile dirlo era motivo di derisione.
Un giorno, un signore che guardava il gruppo divertirsi alle spalle del povero uomo, lo chiamò in disparte e gli fece notare che è vero che prendeva due monete ma che le stesse insieme valevano meno della singola banconota, a questo punto lo “scemo” rispose: “Signore lo so bene, non sono così scemo. La banconota vale due euro in più, ma il giorno in cui la sceglierò, il gioco finirà e non vincerò più i 3 euro al giorno.


Questa storia finisce così ma non prima di aver tratto alcune conclusioni:


1) Chi sembra fesso, non sempre lo è;
2) Coloro che presumono di essere più intelligenti, spesso sono i fessi della situazione;
3) Un’ambizione smisurata può finire per tagliare una fonte di reddito sicura.


Ma la conclusione più interessante che possiamo trarre da questa storia è che ciò che conta non è quello che gli altri pensano di te, ma quello che tu pensi di te stesso, perché guardate, il vero intelligente non è colui che sembra esserlo ma colui che lo dimostra.

Come sarà il 2021?

 


Una favola contro

la guerra




C‘era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c’era molta più acqua che terra su quel pianeta. Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po’ bislacco. Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano “volante”, anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo “guidante”, oppure “girante”, visto che serve per girare? Anche sulle cose importanti si faceva molta confusione. Si parlava spesso di “diritti”: il diritto all’istruzione, per esempio, significava che tutti i bambini avrebbero potuto e dovuto andare a scuola. Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale. Ma per chi viveva in un paese senza scuole, oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l’ospedale e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l’eccezione, questi diritti erano in realtà dei rovesci: non valevano un fico secco. Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere, queste cose non erano diritti: erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi. A volte, addirittura, i potenti della terra chiamavano “operazione di pace” quella che, in realtà, era un’operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano. E poi, sulla Terra, non c’era più accordo fra gli uomini sui significati: per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare. Quanta confusione! Tanta confusione che un giorno il mago Linguaggio non ne poté più. Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini. All’inizio c’era stato un po’ di trambusto, perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo l’altro pensava al canguro, e se uno chiedeva spaghetti l’altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai. Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti. Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio, e il gorilla un animale peloso, e non c’era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto di sugo di pomodoro. Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato un bel po’ di fatica al mago Linguaggio. Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione. «Le parole sono importanti» amava dire «se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non si capisce più niente». Una notte, dunque, si mise a scombinare un po’ le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente. A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati… alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tarzan. Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada. Alle torte invece aveva aggiunto una esse, erano diventate tutte storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia. Nelle scuole si era anche divertito ad anagrammare, al momento dell’appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, adesso erano tutti serpenti, e le maestre scappavano via terrorizzate. Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era mai piaciuta. Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla. Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi. Andò avanti così per parecchi giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventavano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare. Quanta confusione! Troppa confusione, e gli uomini non ne potevano più. Mandarono quindi una delegazione dal mago Linguaggio, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo. «E va bene» – disse Linguaggio – «ma solo ad una condizione: che cominciate a usare le parole con il loro giusto significato». «I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi. Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali e non che alcuni sono più uguali di altri. E per quanto riguarda la guerra…». «Per quanto riguarda la guerra» – lo interruppero gli uomini – «ci abbiamo pensato…tienitela pure: è una parola di cui vogliamo fare a meno».
                                 Gino e Cecilia Strada

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